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domenica 31 agosto 2014

L’ Italia taglia welfare e posti di lavoro P.A. mentre versa miliardi di euro in Europa !

Riceviamo e pubblichiamo: 
L'Italia è il terzo contribuente netto dell'Ue. Il budget annuale dell'Unione europea è di circa 140 miliardi di euro, ovvero poco più dell'1% del Pil complessivo degli Stati membri. Le risorse versate dall'Italia all'Ue sono aumentate dai 14 miliardi di euro del 2007 ai 16,4 miliardi del 2012, mentre gli accrediti effettuati dall'Unione nel periodo si sono aggirati intorno ai 9-11 miliardi all'anno, determinando dal 2002 al 2013 così un consistente saldo a nostro svantaggio  - €4.994,17 milioni di euro ( - 4.994.170.000 euro) annui!
Esistono tre tipi di risorse per colmare questo contributo al sistema europa:
• le risorse proprie tradizionali: sono costituite principalmente dai dazi doganali sulle importazioni provenienti dai paesi extra UE e dai prelievi sullo zucchero. Nel QFP 2007-2013 gli Stati membri hanno trattenuto il 25 % degli importi a titolo di spese di riscossione;
• la risorsa propria basata sull’imposta sul valore aggiunto (IVA): si tratta di un’aliquota uniforme dello 0,3 % che, tranne qualche eccezione, è applicata sulla base IVA armonizzata degli Stati membri;

• la risorsa propria basata sul prodotto nazionale lordo: ogni Stato membro trasferisce al bilancio dell’UE una certa percentuale della propria ricchezza (espressa in PNL, nel 2012 era lo 0,7554 %). Benché fosse stata concepita come strumento di riequilibrio, è diventata la principale fonte di entrate del bilancio dell’UE, rappresentando circa il 70 % del gettito totale.
Altre fonti di entrata (circa il 6,2 % nel 2012) sono costituite da imposte e altre trattenute sulle retribuzioni del personale dell’UE, interessi bancari, contributi di paesi extraeuropei ad alcuni programmi, interessi di mora e ammende.

Da aggiungere a tutto ciò i miliardi versati dall'Italia e dai paesi dell'eurozona nel MES ,più gli interessi sul debito pubblico e quelli da versare ogni qualvolta che viene richiesto denaro alla Bce !
I nostri politici ed i Media però con la solita storiella dei falsi invalidi, evasori, tagli-riforme senato, province, leggi elettorali, alzamento dell’età pensionabile, riduzione del costo del lavoro,privatizzazioni, flessibilità e competitività <raccontano>,ai cittadini,che il tutto occorre a ridurre il debito Pubblico ! Intanto ricchezze che si accentrano sempre più in
poche mani e disastri economici in molti stati sono realtà che passano come effetti collaterali e non come disastri umanitari .

 30/08/2014  a cura di Carmine Curcio, Macchinista FS

p.s.   I 4 miliardi pagati dall’Italia
<Ad esempio l’anno scorso lo Stato italiano ha pagato alla Bce interessi per circa 4 miliardi di euro sui 102 miliardi presenti nell’Smp **. E’ una cifra importante pari a metà delle tanto tormentate coperture per il bonus di 80 euro. L’8% la Bce lo trattiene in bilancio. Il restante 92% lo ripartisce tra le varie banche centrali europee, che possono trasferire periodicamente poi gli utili ai propri governi. Tenuto conto che il riparto si fa in proporzione al peso dei vari Stati membri dell’eurozona, la maggior parte delle quote di questi interessi (circa il 40%) va alla Bundesbank e alla Bank of France.
Conti alla mano, se è vero che gli acquisti della Bce hanno tenuto sotto controllo lo spread, è anche vero che l’Smp ha trasferito dallo Stato italiano alla Bundesbank poco meno di 1,5 miliardi di euro di interessi solo nel 2013. Il modo in cui l’Smp è stato realizzato evidenzia uno dei numerosi difetti architetturali dell’euro ma questa recente decisione va nella giusta direzione e va cavalcata. Adesso che l’Smp non si sterilizza più, perché la Bce ha deciso di tenersi quasi 170 miliardi di euro di titoli di Stato, va completata l’opera stabilendo che questa detenzione sarà fino a scadenza dei titoli e che non comporta pagamento di interessi. Anzi è arrivato forse il momento di restituire quelli già pagati sinora alla Bce dai paesi periferici in difficoltà. Insomma operare come la Fed muovendosi per il benessere di tutti gli Stati (Uniti) d’Europa.>
**( Il programma Smp portò alla Banca centrale oltre 220 miliardi di euro di titoli di Stato, di cui 102 erano italiani. Tutti ricordano che nel momento più critico della crisi, nel 2011, la Bce decise un programma di acquisto dei titoli di Stato dei Paesi periferici per tenere sotto controllo lo spread con il bund tedesco; si trattava del Securities Market Programme (Smp). La Bce temporaneamente «stampava» moneta per comprare i titoli di Stato dei Paesi periferici in difficoltà; la nuova moneta sarebbe poi stata «eliminata» nel momento in cui i titoli venivano de facto venduti sul mercato.)

Allarme lavoro, ogni giorno persi mille posti. Squinzi: “Siamo tornati ai tempi peggiori”

Allarme lavoro, ogni giorno persi mille posti. Squinzi: “Siamo tornati ai tempi peggiori”
Disoccupazione vicina ai massimi: 12,6% a luglio. Per i giovani tasso in calo al 42,9%. Il ministro Poletti: «I dati seguono l’andamento altalenante dell’economia»
L'originale dell'articolo del quotidiano LA STAMPA qui di seguito ripreso si può trovare al link: 
ANSA 29/08/2014: Torna a salire il tasso di disoccupazione. A luglio, informa l’Istat, si è attestato al 12,6%, in aumento di 0,3 punti rispetto al mese precedente e di 0,5 punti nei dodici mesi.
I dati provvisori indicano che gli occupati a luglio sono calati di 35 mila unità: è come se si fossero persi più di mille posti al giorno. Il dato riporta il tasso dei senza lavoro ai livelli di maggio, appena sotto i massimi storici. Nel secondo trimestre per gli uomini il tasso rimane stabile all’11,5%, mentre per le donne vola dal 12,8% al 13,4%. Aumenta inoltre il divario territoriale: si passa dall’8,4% del Nord al 20,3% del Sud. 
Squinzi: «Situazione drammatica» 
È un «dato drammatico» ha detto il leader degli industriali Giorgio Squinzi nel suo intervento al Meeting di Rimini. «Siamo tornati ai livelli peggiori. Questo è quello su cui dobbiamo riflettere: ritrovare la capacità di trovare lavoro e questo può venire solo dalle imprese». Serve una visione complessiva del Paese, secondo Squinzi: «Un Paese che ha oltre il 40% di disoccupazione giovanile è un Paese che non ha futuro». E, criticando la politica, ha sottolineato «la differenza tra i politici, che pensano alle prossima elezioni e gli statisti, che pensano alle prossime generazioni: ecco noi dobbiamo pensare alle prossime generazioni». Secondo Squinzi, anche il Pil 2014 si avvia a chiudere in negativo dello 0,2-0,3% e per questo serve una scossa: «Gli italiani devono essere pronti a un periodo di austerità nei prossimi anni per tornare alla ripresa e alla crescita dell’occupazione».   
Poletti: «Effetto della crisi e di turbolenze internazionali» 
«I dati diffusi dall’Istat evidenziano come l’andamento del lavoro segua quello altalenante dell’economia. Dopo l’incremento complessivo di circa 100 mila occupati nei mesi di maggio e giugno, a luglio calano di 35.000 unità»: questo il commento del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, al dato sulla disoccupazione. «Sono gli effetti negativi della coda di una lunga crisi dalla quale il Paese sta faticosamente uscendo, cui si sono aggiunte le turbolenze internazionali che stanno pesando sull’economia di tutti i grandi paesi europei - ha detto Poletti -. È un dato positivo l’aumento del tasso di occupazione giovanile, che a luglio cresce dello 0,6% rispetto al mese precedente». 
È dai dati Isfol che arriva il primo segno positivo secondo il ministro: «La semplificazione delle norme sull’apprendistato ha favorito un aumento del ricorso a questa tipologia contrattuale importante per l’inserimento dei giovani - aggiunge il ministro -, quella delle norme per il contratto a termine ha prodotto un moderato aumento dell’utilizzo di questo contratto, senza provocare ripercussioni sul tempo indeterminato che cresce per la prima volta dopo due anni. Confidiamo che queste tendenze si possano confermare e consolidare nei prossimi mesi».
Giovani 
L’incidenza dei disoccupati di 15-24 anni è dell’11,8%, in aumento di 0,1 punti rispetto al mese precedente e di 1,1 punti su base annua. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni è pari al 42,9%, in diminuzione di 0,8 punti percentuali rispetto al mese precedente ma in aumento di 2,9 punti nel confronto tendenziale. I senza lavoro tra i 15 e i 24 anni sono 705 mila.
Stranieri 
La riduzione tendenziale dell’occupazione italiana (-105.000 unità) si accompagna alla crescita di quella straniera (+91.000 unità). In confronto al secondo trimestre 2013, il tasso di occupazione degli stranieri (58,7%) segnala un aumento di 0,6 punti a fronte della stabilità di quello degli italiani (55,4%). 
Industria e costruzioni 
Nell’industria in senso stretto riprende la crescita dell’occupazione (+2,8%, pari a 124.000 unità), dovuta solo alla componente maschile, mentre prosegue la contrazione di occupati nelle costruzioni (-3,8%, pari a -61.000 unità) e nel terziario (-0,6%, pari a -92.000 unità). 
Contratti 
Non si arresta la flessione degli occupati a tempo pieno (-0,5%, pari a -89.000 unità rispetto al secondo trimestre 2013), che in quasi due terzi dei casi riguarda i dipendenti a tempo indeterminato (-0,5%, pari a -57.000 unità). Gli occupati a tempo parziale continuano ad aumentare (+1,9%, pari a 75.000 unità), ma la crescita riguarda esclusivamente il part time involontario che riguarda il 64,7% dei lavoratori a tempo parziale. Dopo cinque trimestri consecutivi di calo, riprende la crescita dei dipendenti a termine (+3,8%, pari a 86.000 unità nel raffronto tendenziale) a cui si accompagna per il settimo trimestre la diminuzione dei collaboratori (-8,3%, pari a -36.000 unità). 
Inattivi 
Nel secondo trimestre 2014 continua la diminuzione del numero di inattivi 15-64 anni (-1,0%, pari a -151.000 unità), dovuto ai 55-64enni e alimentato in oltre otto casi su dieci dalle donne. Il tasso di inattività scende al 36,3%, dal 36,6% del secondo trimestre 2013.


martedì 26 agosto 2014

DUMPING SOCIALE EUROPEO IN ITALIA, ANZI IN LOMBARDIA: Lo strano caso dei muratori pagati 7 € l’ora (se va bene). Ecco come società rumene (per buona parte fatte da italiani) assumono personale in Italia e lo pagano secondo i contratti rumeni

Lo strano caso dei muratori pagati 7 € l’ora (se va bene). 
Ecco come società rumene (per buona parte fatte da italiani) assumono personale in Italia e lo pagano secondo i contratti rumeni.
[articolo di Gianni Bonfadini , GIORNALE DI BRESCIA MERCOLEDÌ 20 AGOSTO 2014 ECONOMIA 27] 


ALLARME AD OVEST / 2 . CASTREZZATO  - Andiamo avanti in questa istruttoria sul disastro che si sta consumando nell’Ovest bresciano, terra da sempre considerata capitale dell’edilizia (anche con tutte le perversioni che negli anni si sono consumate) e che oggi paga l’altissimo prezzo di avere - in un pugno di paesi - 6-7 mila disoccupati.
Si è costruito tanto, troppo, oggi si è quasi tutto fermato.  Sul come poter immaginare di uscirne da questo disastro lo si vedrà più avanti.
Oggi il tema è quello di chi lavora regolarmente - regolarmente, ripeto - nei cantieri ad una cifra patetica, irrisoria quasi per i nostri parametri: 7 euro l’ora, ma anche 6 giura qualcuno.
E’ lo strano caso di società rumene (per la gran parte) che assumono in Italia ma pagano con i contratti di quel Paese.
Della storia, si era cominciato a sentir parlare quando erano cominciati i primi lavori alla Brebemi. Si raccontava di ferraioli che prendevano 7-8 euro l’ora, ma anche 6 come detto.
Diciamo che siamo al 40% in meno rispetto ad un normale contratto italiano.
La storia pare sia questa e la sintetizza Tiziano Pavoni, presidente del Collegio dei Costruttori.
Viene costituita in Romania una società che ha l’obiettivo di prendere lavori in Italia. Per la gran parte sono piccoli o grandi capitali italiani, magari con un socio di minoranza romeno. Dalla Romania, che è un Paese della Ue e quindi risponde alle leggi sulla libera circolazione di capitali e persone proprie dell’Europa,si assumono persone in Italia, «per la gran parte – dice Pavoni - albanesi, indiani, pakistani o romeni, ma anche qualche italiano». E li si paga con il contratto in vigore in Romania. Che per un muratore è di circa 400 euro al mese, cui si aggiungono altri 400 euro sotto forma di indennità di trasferta. E fanno, quindi, 800 euro al mese che vanno in busta paga. Mettiamoci altri 400 euro circa fra tasse e previdenza e fanno, per l’appunto, 1200 euro al mese. Questo è il costo mensile che la società rumena deve sostenere per far lavorare personale in Italia.

«A dir poco-commenta Pavoni - siamo sotto del 40% rispetto ai nostri costi». E qui si apre il dramma, il dramma vero, una voragine di prospettiva. Perchè, se la cosa fosse irregolare verrebbe da dire: poco male (si fa per dire). Nel senso che, perversione per perversione, questa altra non sarebbe che una ennesima variante delle tante porcheriole che alcuni operatori del settore hanno consumato in questi anni.

Ma il dramma è che questa cosa qui è - sarebbe - regolare.
Con contratti di questo tipo si fa lavorare regolarmente gente in cantieri che dovrebbero essere iper-presidiati come la Brebemi, ad esempio, oppure dentro il cantiere dell’Expo che per definizione e proclami dovrebbe essere il cantiere non solo più grande d’Italia, ma anche il più presidiato, il più controllato. Ma è per questo che si può lavorare con questi contratti: perché sono regolari, formalmente ineccepibili.
E non è finita. Pare - e qui Tiziano Pavoni si riserva un supplemento d’indagine – che queste imprese romene di nome ma di fatto gestite da italiani (sempre regolarmente, intendiamoci) applichino in molti casi non il contratto dell’edilizia ma di altro genere, per esempio quello della meccanica. «E’ uno degli aspetti rispetto al nostro».
Ora, in attesa del supplemento d’indagine, se lavorare regolarmente in un cantiere in Italia costa 6-8 euro l’ora, questo significa che il futuro – per i nostri - è davvero spesso.
... Gianni Bonfadini ,  
g.bonfadini@ giornaledibrescia.it

lunedì 25 agosto 2014

GLI EFFETTI DELLA GUERRA IN EUROPA SULLA LOMBARDIA, Coldiretti : UCRAINA, NEL MIRINO DELLE SANZIONI RUSSE 123 MILIONI DI EURO DI PRODOTTI LOMBARDI

Nel primo trimestre 2014 le esportazioni di prodotti agroalimentari “Made in Lombardia” in Russia hanno superato i 29 milioni di euro e sono cresciute di oltre il 19 per cento fra il 2012 e il 2013 sfiorando i 123 milioni di euro totali l’anno scorso. È quanto emerge da un’analisi della Coldiretti Lombardia su dati della Camera di Commercio di Milano, riguardo ai possibili effetti della decisione della Russia di limitare o bloccare con decreto anche per un anno le importazioni agroalimentari dai paesi che hanno adottato sanzioni contro Mosca per il conflitto in Ucraina. Analizzando le singole voci – spiega la Coldiretti Lombardia – in tutto il 2013 il valore delle esportazioni di cereali e preparazioni a base di cereali dalla Lombardia alla Russia ha superato i 23 milioni di euro, seguiti dai quasi 20 milioni di euro per prodotti lattieri e uova e dai 17 milioni e mezzo di euro per alimenti destinati ad animali, mentre le bevande lombarde in Russia valgono 16 milioni e 791 mila euro all’anno. (07/08/2014)
Secondo un’analisi della Coldiretti nazionale, nel 2013 le esportazioni di prodotti agroalimentari dall’Italia alla Russia ha raggiunto la cifra record di 706 milioni di euro. Le nuove misure restrittive annunciate fanno seguito a un altro momento di scontro commerciale tra Russia e Unione Europea. Infatti con la cosiddetta “guerra dei prosciutti” la Russia ha già chiuso le frontiere a tutto l'export europeo di maiali, carni di maiale e trasformati  in violazione delle regole sugli scambi alla Wto di cui è membro dal 2012, prendendo a pretesto la scoperta a fine gennaio, di casi di peste suina africana in alcuni cinghiali in Lituania e Polonia, lungo le zone di frontiera con la  Bielorussia.
Milano – spiega la Coldiretti Lombardia - è la provincia che esporta di più verso Mosca: solo nei primi tre mesi del 2014 il valore dell’export in Russia ha superato i 18 milioni di euro, mentre se si considera tutto il 2013 ha sfiorato i 69 milioni di euro, pari al 56% del totale regionale. A seguire Brescia con più di 15 milioni di euro, Mantova con oltre 13 milioni di euro e Lecco con 7 milioni e 300 mila euro e le altre province con cifre fra gli oltre 4 milioni di Bergamo e i 136 mila euro di Sondrio.

EXPORT AGROALIMENTARE LOMBARDO VERSO LA RUSSIA nel 2013
Provincia
 
Totale export
(in euro)
 
Peso province su
totale Lombardia
 
Bergamo 
4.283.021
3,5%
Brescia
15.059.882
12,3%
Como
3.226.021
2,6%
Cremona
3.542.768
2,9%
Lodi
219.036
0,2%
Lecco
7.344.979
6,0%
Mantova
13.106.385
10,7%
Milano
68.827.194
56%
Monza Brianza
1.330.824
1,1%
Pavia
3.886.580
3,2%
Sondrio
136.671
0,1%
Varese
1.890.230
1,5%
LOMBARDIA
122.853.591
100%
Dati Camera di Commercio di Milano

CRISI, La Lombardia sta scivolando agli ultimi posti nell'elenco delle regioni europee industrializzate..

CRISI, LATTUADA (CGIL): "RIPRESA DIFFICILE ANCHE IN LOMBARDIA"
"La Lombardia non è diversa dall'Italia, e anche qui da noi, se consideriamo i dati del primo semestre del 2014, la ripresa sarà difficile, nonostante le potenzialità rappresen
tate da Expo che, solo se ben utilizzate, possono segnare una crescita complessiva del tessuto produttivo lombardo". A dirlo è il segretario generale della Cgil regionale, Elena Lattuada, in riferimento ai dati resi noti dalla Cgil sulla situazione del sistema produttivo e della disoccupazione in Lombardia. "Dall'inizio della crisi (2008) - prosegue Lattuada - la Lombardia, che ha perso diversi punti di Pil e ha visto una riduzione dell'occupazione e degli investimenti in ricerca e sviluppo, sta scivolando agli ultimi posti nell'elenco delle regioni europee industrializzate. Occorreranno anni per risalire alla condizione di partenza sul piano occupazionale e industriale e per recuperare la dimensione e la qualità del sistema produttivo e commerciale della regione, e sarà possibile solo con un impegno del Governo nazionale e di quello regionale a produrre adeguate politiche industriali e per il lavoro, al di là di posizioni ideologiche che di fronte a questa crisi non hanno davvero senso". La crisi, per Lattuada, "sta entrando ormai in una nuova fase e sta cambiando volto.
Sostenere la domanda interna, anche con investimenti mirati, è necessario non solo per rilanciare i consumi delle persone e delle famiglie, oggi totalmente compressi anche sui bisogni primari, ma come volano per la ripresa produttiva. Il nodo della Lombardia - conclude il segretario regionale della Cgil - resta dunque quello di creare lavoro e di riprogettare una struttura produttiva innovata e di qualità, senza la quale sarà tecnicamente impossibile creare le condizioni per la crescita e lo sviluppo del Paese e per rilanciare l'occupazione". (Omnimilano.it, 21 Agosto 2014)

giovedì 21 agosto 2014

Quattro anni sprecati, di Luciano Gallino

Quattro anni sprecati, di Luciano Gallino (da la Repubblica del 19 agosto 2014)
“I governi Berlusconi, Monti, Letta, Renzi saranno ricordati come quelli che hanno dimostrato la maggiore incapacità nel governare l’economia in un periodo di crisi. I dati sono impietosi. Dal 2009 ad oggi il Pil è calato di dieci punti. Qualcosa come 160 miliardi sottratti ogni anno all’economia. L’industria ha perso un quarto della sua capacità produttiva. La produzione di autovetture sul territorio nazionale è diminuita del 65 per cento. L’indicatore più scandaloso dello stato dell’economia, quello della disoccupazione, insieme con quelli relativi alla immensa diffusione del lavoro precario, ha raggiunto livelli mai visti. La scuola e l’università sono in condizioni vergognose. Sei milioni di italiani vivono sotto la soglia della povertà assoluta, il che significa che non sono in grado di acquistare nemmeno i beni e i servizi di base necessari per una vita dignitosa. Il rapporto debito pubblico-Pil sta viaggiando verso il 140 per cento, visto che il primo ha superato i 2100 miliardi. Questo fa apparire i ministri che si rallegrano perché nel corso dell’anno saranno di sicuro trovati tre o quattro miliardi per ridurre il debito dei tristi buontemponi. Ultimo tocco per completare il quadro del disastro, l’Italia sarà l’unico Paese al mondo in cui la compagnia di bandiera ha i colori nazionali dipinti sulle ali, ma chi la comanda è un partner straniero.
Si possono formulare varie ipotesi circa le origini del disastro. La più nota è quella avanzata da centinaia di economisti europei e americani sin dai primi anni del decennio. È un grave errore, essi insistono, prescrivere al cavallo maggiori dosi della stessa medicina quando è evidente che ad ogni dose il cavallo peggiora. La medicina è quella che si compendia nelle politiche di austerità, richieste da Bruxelles e praticate con particolare ottusità dai governi italiani. Essa richiede che si debba tagliare anzitutto la spesa pubblica: in fondo, a che cosa servono le maestre d’asilo, i pompieri, le infermiere, i ricercatori universitari? In secondo luogo bisogna privatizzare il maggior numero possibile di beni pubblici. Il privato, dicono i medici dell’austerità, è sempre in grado di gestire qualsiasi attività con superiore efficienza: vedi, per dire, i casi Ilva, Alitalia, Telecom. Infine è necessario comprimere all’osso il costo del lavoro, rendendo licenziabile su due piedi qualunque tipo di lavoratore. I disoccupati in fila ai cancelli sono molto più disposti ad accettare qualsiasi lavoro, a qualsiasi condizione, se sanno che al minimo sgarro dalla disciplina aziendale saranno buttati fuori come stracci. Altro che articolo 18.
Nell’insieme la diagnosi appare convincente. Le politiche di austerità sono un distillato delle teorie economiche neoliberali, una macchina concettuale tecnicamente agguerrita quanto politicamente misera, elaborata dagli anni 80 in poi per dimostrare che la democrazia non è che una funzione dell’economia. La prima deve essere limitata onde assicurare la massima espansione della libertà di mercato (prima di Draghi, lo hanno detto senza batter ciglio Lagarde, Merkel e perfino una grande banca, J. P. Morgan). La mente e la prassi di tutto il personale che ha concorso a governare l’economia italiana negli ultimi anni è dominata sino al midollo da questa sofisticata quanto grossolana ideologia; non c’è quindi da stupirsi che essa abbia condotto il Paese al disastro.
Domanda: come mai, posto che tutti i governanti europei decantano e praticano i vantaggi delle politiche dell’austerità, molti dei loro Paesi se la passano meglio dell’Italia? La risposta è semplice: perché al di sotto delle coperture ideologiche che adottano in pubblico, le iniziative che essi prendono derivano piuttosto da una analisi spregiudicata delle reali origini della crisi nella Ue. In Italia, non si è mai sentito un membro dei quattro “governi del disastro” proporre qualcosa di simile ad una tale analisi, con la conseguenza che oltre a praticare ciecamente le politiche neoliberali, i nostri governanti ci credono pure. Facendo di loro il personale politico più incompetente della Ue.
Si prenda il caso Germania; non a caso, perché la Germania è al tempo stesso il maggior peccatore economico d’Europa (copyright Flassbeck), e quello cui è meglio riuscito a far apparire virtuoso se stesso e peccatori tutti gli altri. Il motivo del successo tedesco è noto: un’eccedenza dell’export sull’import che col tempo ha toccato i 200 miliardi l’anno. Poco meno di due terzi di tale somma è dovuta ad acquisti da parte di altri paese Ue. Prodigio della tecnologia tedesca? Nemmeno per sogno. Prodigio, piuttosto, della formula “vai in malora te e il tuo vicino” (copyright Lapavitsas) ferreamente applicata dalla Germania a tutti i Paesi Ue. Grazie alle “riforme” dell’Agenda 2010, dalla fine degli anni 90 i lavoratori tedeschi non hanno visto un euro in più affluire ai loro salari; il considerevole aumento complessivo della produttività verificatosi nello stesso periodo si è tradotto per intero nella riduzione dei prezzi all’esportazione. In un regime di cambi fissi come quello imposto dall’euro, questo meccanismo ha trasformato la Germania in un Paese a forte surplus delle partite correnti e tutti gli altri Paesi dell’Eurozona in Paesi deficitari.
Ha voglia la Cancelliera Merkel di decantare le virtù della “casalinga dello Schlewig-Holstein”, che spende soltanto quel che incassa e non fa mai debiti. La virtù vera dei tedeschi è consistita, comprimendo i salari interni per favorire le esportazioni, nel diventare l’altezzoso creditore d’Europa, mettendo in fila tutti gli altri Paesi come debitori spreconi. È vero che negli incontri ufficiali è giocoforza che ognuno parli la neolingua del regime neoliberale che domina la Ue. Invece negli incontri dove si decidono le cose serie bisognerebbe chiedere ai governanti tedeschi che anziché della favola della casalinga si discuta magari delle politiche del lavoro — quelle tedesche — che hanno disastrato la Ue. Potrebbe essere utile quanto meno per condurre trattative per noi meno jugulatorie. Tuttavia per fare ciò bisogna avere una nozione realistica della crisi, e non è chiaro se esiste un solo governante italiano che la possegga.

Nei discorsi con cui verso metà agosto Matteo Renzi ha occupato gran parte delle reti tv, si è profuso in richiami alla necessità di guardare con coraggio alla crisi, di non lasciarsi prendere dalla sfiducia, di contare sulle risorse profonde del paese. Sarà un caso, o uno spin doctor un po’ più colto, ma questi accorati richiami alla fibra morale dei cittadini ricordano il discorso inaugurale con cui Franklin D. Roosevelt inaugurò la sua presidenza nel marzo 1933. In Usa le conseguenze furono straordinarie. Ma non soltanto perché i cittadini furono rianimati di colpo dalle parole del presidente. Bensì perché nel giro di poche settimane Roosevelt creò tre agenzie per l’occupazione che in pochi mesi diedero un lavoro a quattro milioni di disoccupati, e attuò la più grande ed efficace riforma del sistema bancario che si sia mai vista in Occidente, la legge Glass-Steagall. Ci faccia vedere qualcosa di simile, Matteo Renzi, in tempi analoghi, e cominceremo a pensare che il suo governo potrebbe anche risultare meno disastroso di quanto oggi non sembri.”

(da La Repubblica, 19 agosto 2014)

'ancora In Marcia' , Pensione ferrovieri: raggiunto obbiettivo petizione on-line, Raccolte 5000 firme per la petizione sulle pensioni del personale mobile dei treni !


i venti di guerra si fanno sempre più forti, a chi giova ??? : niente di buono per i lavoratori e per i popoli...

ANCORA MORTI SUI BINARI …,Appello del Cobas Ferrovieri : riunione a Bologna il 13 settembre alle 10.30, in via San Carlo 42.

Riceviamo da Cobas Ferrovieri Bologna(20-ago-2014 14.18) e pubblichiamo :
ANCORA MORTI SUI BINARI … E PENSARE CHE IN FONDO, SIAMO PURE FORTUNATI !
Dai ferrovieri di RFI, si è manifestata l'esigenza di cambiare passo nel tentativo di contrastare le continue morti sui binari con cui dobbiamo fare sempre più spesso i conti. da questo l'esigenza di definire un percorso, questo il senso di questo appello e della riunione che proponiamo a Bologna il 13 settembre alle 10.30, in via San Carlo 42.
Ci auguriamo che sia un occasione per fare un passo in avanti e che veda la partecipazione di chi oggi vuol dire basta alle continue morti in ferrovia.

ANCORA MORTI SUI BINARI … E PENSARE CHE IN FONDO, SIAMO PURE FORTUNATI!
“Ogn'anno,il due novembre,c'é l'usanza per i defunti andare al Cimitero.Ognuno ll'adda fà chesta crianza; ognuno adda tené chistu penziero.” …
In ferrovia muore principalmente chi lavora in mezzo ai binari, questo è il dato attuale con cui dobbiamo fare i conti, e non é casuale.
Non possiamo, ogni volta che un ferroviere muore sul lavoro, continuare a celebrare sempre lo stesso odioso rito, ipocrita, oppure sincero (a seconda di chi sia il celebrante), che resta comunque fine a se stesso, serve cambiare passo affinché si possa fermare questo stillicidio di cui siamo troppo spesso costretti ad aggiornare la statistica.
Di questo aspetto occorre avere maggiore consapevolezza altrimenti continueremo a girare a vuoto sulla ruota delle frasi fatte.
Occorre rendersi conto che, per quanto sappiamo sia difficile, non si può prescindere dal coinvolgimento dei lavoratori per poter porre un freno a questa strage continua.
Questo vuol dire fare i conti con quel contesto corrotto che è, si, favorito dall'azienda e da quei sindacati (FILT, FIT, UILT, OrSA, UGL e FAST) che ne traggono i maggiori benefici, ma è difeso ed interpretato nelle sue accezioni peggiori anche dai lavoratori.
La speranza da parte del lavoratore di trarne qualche profitto (anche se molto spesso miserevole), la paura delle conseguenze che un rifiuto può comportare e anche la costante ricerca del quieto vivere, rendono il terreno assai melmoso e liquidare la pratica con una generica critica alle privatizzazioni, al sistema capitalistico e chissà che altro, non smuove di una virgola il clima in cui maturano le condizioni che generano questo enorme numero di morti.

Prima di continuare vorremmo anche ricordare le innumerevoli occasioni in cui dimostriamo di essere paradossalmente, una categoria assai fortunata (!!??): perché se contabilizzassimo anche i mancati “incidenti” i numeri farebbero accapponare ancor di più la pelle.
Un mondo quindi che va anzitutto compreso, e riteniamo che gli schemi offerti nel tempo evidenziano una forte distanza tra chi li propone e li sostiene e i lavoratori che occorrerebbe coinvolgere.
Occorre una inversione di tendenza, anche culturale, che non ha a sua disposizione scorciatoie e questo aspetto non possiamo continuare ad ignorarlo:
non sposta di una virgola il solo denunciare l'arroganza dell'azienda che si erge a paladina della sicurezza scaricando sui lavoratori morti tutta la responsabilità;
non sposta di una virgola il solo denunciare l'ipocrisia con cui questi sindacati straccioni esprimono il proprio cordoglio di circostanza condito dalla falsa indignazione che in questi casi la contraddistingue, come se non fossero gli stessi che quotidianamente sostengono tutte le iatture aziendali;
non sposta di una virgola però, neanche il richiamo alla mobilitazione a casaccio, come semplice azione inerziale di qualsiasi organizzazione sindacale: non è accettabile pensare che sulla pelle dei lavoratori (mai come in questo caso nel vero senso della parola) si possa tentare la ricerca del consenso.
Riteniamo la vertenza che dall'inizio dell'anno sta vedendo una forte mobilitazione del personale viaggiante per riportare a macchinisti, capitreno e manovratori la pensione a 58 anni assolutamente legittima, ma riteniamo altresì che in questo momento non possa essere l'unico orizzonte di un’azione sindacale “altra”: non crediamo che se anche quella fosse una vertenza vinta (ovviamente ce l'auguriamo), ci sarebbe un solo morto in meno; tantomeno possiamo pensare di dover incrociare le dita ed attendere il nostro turno. Pertanto riteniamo che vada assolutamente avviato un percorso che abbia all'ordine del giorno un solo obiettivo: LA SICUREZZA DEI FERROVIERI.
Sappiamo che è difficile, che siamo pochi, che le cose da fare sono anche troppe, ma la questione o la si affronta per quello che é, oppure alla lunga subiremo la tentazione di smettere anche la rituale denuncia, per non sentirci parte della pletora degli ipocriti.

Abbiamo qualche idea da proporre, e ci auguriamo che questo appello incontri l’interesse più largo tra i compagni, fuori dalle pure “logiche di bottega”, per affrontare sul serio la materia. Pertanto invitiamo ad una prima riunione che si terrà a Bologna il 13 settembre alle ore 10.30 in via San Carlo 42, con un solo ordine del giorno: BASTA MORTI sul lavoro IN FERROVIA