(10/01/2015)
L'India ha appena conosciuto forse il suo più grande sciopero del settore industriale da 40 anni, solo un po' più corto. I minatori del carbone uniti contro la privatizzazione del settore, un paese sull'orlo della penuria energetica. Il governo sta giocando col tempo, ma la tensione resta alta.
L'India ha (e ha avuto) paura, almeno il suo governo neo-liberale e nazionalista. I principali sindacati del paese hanno proclamato uno sciopero di cinque giorni martedì scorso, per protestare contro il progetto di legge di privatizzazione delle miniere di carbone.
Il più grande sciopero nell'industria dal 1974
Quello del 1974, è stato il più grande sciopero dell'industria che ha conosciuto il paese: 1,4 milioni di ferrovieri paralizzarono il paese per 20 giorni e andarono distrutte in questo modo le scorte di grano, di cemento e di petrolio del paese, costringendo il governo a fare marcia indietro.
Questo era lo spettro che aleggiava sul progetto che prevede la messa all'asta delle miniere indiane, finora controllate da imprese pubbliche: il prezzo-massimo sarebbe fissato dallo Stato, mentre l'investitore che propone il prezzo più basso si aggiudicherebbe il mercato.
Sono 101 le miniere indiane soggette a questo progetto di legge: 65 sarebbero messe all'asta, dunque aperte agli investitori privati, stranieri o locali, 36 sarebbero riservate agli enti statali. D'altra parte, il 10% delle azioni della società pubblica Coal India Limited (CIL) sarà trasferito a privati.
Rottura del monopolio pubblico, smantellamento dei diritti sociali dei minatori
Per i sindacati, si tratta di una privatizzazione del settore mediante la rimessa in discussione del monopolio pubblico. Ciò comporterebbe una concorrenza sleale, sostenuta dallo Stato, in cui i lavoratori pagherebbero il prezzo in termini di condizioni di sicurezza, di orario di lavoro e di retribuzione salariale.
Il Partito del Congresso aveva già avviato un progetto di privatizzazione parziale nel 2010, tradendo lo spirito della nazionalizzazione delle miniere di carbone attuato tra il 1971 ed il 1974 dal Primo ministro del Congresso, Indira Gandhi.
Un minatore del settore pubblico guadagna in media 500 € al mese (40.000 rupie), contro i 100 € del settore privato (7.000 rupie). Mentre la sicurezza sociale è garantita ai dipendenti a tempo indeterminato del pubblico, è ancora una lotta per quelli a tempo determinato.
Ora, l'azienda pubblica Coal India Limited è la più importante del mondo nel settore del carbone. Produce l'80% del carbone del paese, raccoglie 350.000 dipendenti a tempo indeterminato, 50.000 a tempo determinato.
La sua partner, Singareni Collieries Company, è un'altra azienda pubblica, con 150.000 dipendenti a tempo indeterminato e 15.000 a tempo determinato. In tutto, il settore delle miniere di carbone conta 500.000 dipendenti a tempo indeterminato e 65.000 a tempo determinato.
L'India, un gigante mondiale del carbone alla mercé di uno sciopero generale
L'India è attualmente il 3° produttore mondiale di carbone, dietro Cina e Usa, il 60% della sua produzione elettrica dipende dal carbone, l'80% della sua produzione di carbone è destinata alla generazione di elettricità.
Il consumo elettrico, a fini domestici ed industriali, è in pieno boom. L'India diventerà nel 2016 il secondo consumatore al mondo.
Lo sciopero dei minatori di carbone ha messo in pericolo il livello della produzione industriale, come pure il consumo della maggioranza degli indiani, che subiscono – per quelli che beneficiano di un accesso all'elettricità – già di tagli regolari, fino a 10 ore al giorno in estate.
Secondo l'organo governativo dell'autorità centrale per l'energia elettrica, su 100 unità di produzione elettrica, 42 hanno scorte energetiche per meno di 7 giorni, di cui 20 per meno di 4 giorni. Secondo gli esperti, l'impatto dello sciopero doveva essere considerato serio precisamente a partire dal quarto giorno.
In altre parole, uno sciopero di cinque giorni può avere conseguenze critiche per il paese. Ogni giorno di sciopero ha rappresentato una perdita di produzione di carbone tra 1 e 1,5 milioni di tonnellate, cioè 30 milioni di euro in perdite finanziarie.
95% di scioperanti, il massiccio successo della mobilitazione
Lo sciopero è stato uno chiaro successo. Secondo il Centre of Indian Trade Unions (CITU), sindacato vicino al Partito Comunista dell'India (marxista), il 95% dei lavoratori del settore si sono uniti all'agitazione. Per l'Indian National Trade Union Congress (INTUC), legato al Partito del Congresso, parla di un'adesione totale del 100% alla Coal India e del 80% alla Singareni Collieries.
Alla fine del secondo giorno, nonostante le smentite ufficiali, il governo guidato dal BJP [Bharatiya Janata, Partito Popolare Indiano] (partito di destra, allo stesso tempo neo-liberale e nazionalista indù) ha convocato i sindacati per strappare una sospensione dello sciopero ed una ripresa dei negoziati.
Dopo avere rifiutato qualsiasi concessione per mesi, il governo continua a giocare sul tempo.
Difficile sapere il contenuto delle promesse, ma si sarebbe impegnato a non privatizzare il gigante Coal India e ad offrire garanzie sulle condizioni di lavoro dell'insieme degli occupati.
La piattaforma rivendicativa sindacale si articola su diversi punti: 1) il rifiuto della privatizzazione delle miniere indiane, come pure delle imprese pubbliche interessate; 2) il passaggio dalla settimana lavorativa da 42 a 35 ore; 3) sicurezza sociale per tutti, contratti a termine compresi; 4) compensazione per i residenti che perdono le loro terre, aiuto allo sviluppo locale.
Il progetto di legge è stato approvato alla Camera bassa del Parlamento, mentre deve ancora passare al vaglio della Camera alta. Era stato inizialmente respinto dalla Corte suprema, che aveva denunciato la collusione tra governo e imprese, indicando sospetti di corruzione.
Il governo è pronto a fare concessioni per ottenere l'essenziale: la fine del monopolio pubblico su questo settore strategico.
Un fronte unito sindacale minato dai calcoli politici
Va detto che il fronte unito sindacale non condivide gli stessi interessi.
Fra i 5 sindacati, i due legati ai Partiti comunisti, CITU e AITUC, rappresentano 6 milioni di lavoratori e sono fermamente contrari alla privatizzazione. Il sindacato minore Hind Mazdoor Sabha (HMS) condivide questo orientamento.
Ma il Bharatiya Mazdoor Sangh (BMS), legato al partito di destra BJP, ha fatto di tutto per fare affondare lo sciopero che nuoce al nuovo governo BJP formato nel maggio 2014.
Il sindacato INTUC, affiliato al Partito del Congresso, occupa il centro della scena mediatica ed è stato presentato come leader del movimento.
Accanto alle sue posizioni sulla possibilità di ampliare a 10 giorni lo sciopero, fin dall'inizio ha annunciato di non essere fossilizzato "su posizioni ideologiche" dicendosi pronto a cedere in cambio di una contropartita.
Lo sciopero è stato dunque fermato mercoledì sera, senza che fosse conosciuto il contenuto dell'accordo, né se potesse essere ulteriormente modificato. La direzione del CITU ha espresso il suo disaccordo per la decisione degli altri sindacati di porre fine allo sciopero prima di avere ottenuto soddisfazione.
Tuttavia esso ha mostrato il potenziale di mobilitazione della classe operaia indiana. E non è certo finita la lotta contro i progetti di svendita dei gioielli del patrimonio collettivo indiano, ereditato dalla lotta contro il colonialismo, dal contraddittorio tentativo di "socialismo indiano".
AC | solidarite-internationale-pcf.fr
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione PopolareL'India ha appena conosciuto forse il suo più grande sciopero del settore industriale da 40 anni, solo un po' più corto. I minatori del carbone uniti contro la privatizzazione del settore, un paese sull'orlo della penuria energetica. Il governo sta giocando col tempo, ma la tensione resta alta.
L'India ha (e ha avuto) paura, almeno il suo governo neo-liberale e nazionalista. I principali sindacati del paese hanno proclamato uno sciopero di cinque giorni martedì scorso, per protestare contro il progetto di legge di privatizzazione delle miniere di carbone.
Il più grande sciopero nell'industria dal 1974
Quello del 1974, è stato il più grande sciopero dell'industria che ha conosciuto il paese: 1,4 milioni di ferrovieri paralizzarono il paese per 20 giorni e andarono distrutte in questo modo le scorte di grano, di cemento e di petrolio del paese, costringendo il governo a fare marcia indietro.
Questo era lo spettro che aleggiava sul progetto che prevede la messa all'asta delle miniere indiane, finora controllate da imprese pubbliche: il prezzo-massimo sarebbe fissato dallo Stato, mentre l'investitore che propone il prezzo più basso si aggiudicherebbe il mercato.
Sono 101 le miniere indiane soggette a questo progetto di legge: 65 sarebbero messe all'asta, dunque aperte agli investitori privati, stranieri o locali, 36 sarebbero riservate agli enti statali. D'altra parte, il 10% delle azioni della società pubblica Coal India Limited (CIL) sarà trasferito a privati.
Rottura del monopolio pubblico, smantellamento dei diritti sociali dei minatori
Per i sindacati, si tratta di una privatizzazione del settore mediante la rimessa in discussione del monopolio pubblico. Ciò comporterebbe una concorrenza sleale, sostenuta dallo Stato, in cui i lavoratori pagherebbero il prezzo in termini di condizioni di sicurezza, di orario di lavoro e di retribuzione salariale.
Il Partito del Congresso aveva già avviato un progetto di privatizzazione parziale nel 2010, tradendo lo spirito della nazionalizzazione delle miniere di carbone attuato tra il 1971 ed il 1974 dal Primo ministro del Congresso, Indira Gandhi.
Un minatore del settore pubblico guadagna in media 500 € al mese (40.000 rupie), contro i 100 € del settore privato (7.000 rupie). Mentre la sicurezza sociale è garantita ai dipendenti a tempo indeterminato del pubblico, è ancora una lotta per quelli a tempo determinato.
Ora, l'azienda pubblica Coal India Limited è la più importante del mondo nel settore del carbone. Produce l'80% del carbone del paese, raccoglie 350.000 dipendenti a tempo indeterminato, 50.000 a tempo determinato.
La sua partner, Singareni Collieries Company, è un'altra azienda pubblica, con 150.000 dipendenti a tempo indeterminato e 15.000 a tempo determinato. In tutto, il settore delle miniere di carbone conta 500.000 dipendenti a tempo indeterminato e 65.000 a tempo determinato.
L'India, un gigante mondiale del carbone alla mercé di uno sciopero generale
L'India è attualmente il 3° produttore mondiale di carbone, dietro Cina e Usa, il 60% della sua produzione elettrica dipende dal carbone, l'80% della sua produzione di carbone è destinata alla generazione di elettricità.
Il consumo elettrico, a fini domestici ed industriali, è in pieno boom. L'India diventerà nel 2016 il secondo consumatore al mondo.
Lo sciopero dei minatori di carbone ha messo in pericolo il livello della produzione industriale, come pure il consumo della maggioranza degli indiani, che subiscono – per quelli che beneficiano di un accesso all'elettricità – già di tagli regolari, fino a 10 ore al giorno in estate.
Secondo l'organo governativo dell'autorità centrale per l'energia elettrica, su 100 unità di produzione elettrica, 42 hanno scorte energetiche per meno di 7 giorni, di cui 20 per meno di 4 giorni. Secondo gli esperti, l'impatto dello sciopero doveva essere considerato serio precisamente a partire dal quarto giorno.
In altre parole, uno sciopero di cinque giorni può avere conseguenze critiche per il paese. Ogni giorno di sciopero ha rappresentato una perdita di produzione di carbone tra 1 e 1,5 milioni di tonnellate, cioè 30 milioni di euro in perdite finanziarie.
95% di scioperanti, il massiccio successo della mobilitazione
Lo sciopero è stato uno chiaro successo. Secondo il Centre of Indian Trade Unions (CITU), sindacato vicino al Partito Comunista dell'India (marxista), il 95% dei lavoratori del settore si sono uniti all'agitazione. Per l'Indian National Trade Union Congress (INTUC), legato al Partito del Congresso, parla di un'adesione totale del 100% alla Coal India e del 80% alla Singareni Collieries.
Alla fine del secondo giorno, nonostante le smentite ufficiali, il governo guidato dal BJP [Bharatiya Janata, Partito Popolare Indiano] (partito di destra, allo stesso tempo neo-liberale e nazionalista indù) ha convocato i sindacati per strappare una sospensione dello sciopero ed una ripresa dei negoziati.
Dopo avere rifiutato qualsiasi concessione per mesi, il governo continua a giocare sul tempo.
Difficile sapere il contenuto delle promesse, ma si sarebbe impegnato a non privatizzare il gigante Coal India e ad offrire garanzie sulle condizioni di lavoro dell'insieme degli occupati.
La piattaforma rivendicativa sindacale si articola su diversi punti: 1) il rifiuto della privatizzazione delle miniere indiane, come pure delle imprese pubbliche interessate; 2) il passaggio dalla settimana lavorativa da 42 a 35 ore; 3) sicurezza sociale per tutti, contratti a termine compresi; 4) compensazione per i residenti che perdono le loro terre, aiuto allo sviluppo locale.
Il progetto di legge è stato approvato alla Camera bassa del Parlamento, mentre deve ancora passare al vaglio della Camera alta. Era stato inizialmente respinto dalla Corte suprema, che aveva denunciato la collusione tra governo e imprese, indicando sospetti di corruzione.
Il governo è pronto a fare concessioni per ottenere l'essenziale: la fine del monopolio pubblico su questo settore strategico.
Un fronte unito sindacale minato dai calcoli politici
Va detto che il fronte unito sindacale non condivide gli stessi interessi.
Fra i 5 sindacati, i due legati ai Partiti comunisti, CITU e AITUC, rappresentano 6 milioni di lavoratori e sono fermamente contrari alla privatizzazione. Il sindacato minore Hind Mazdoor Sabha (HMS) condivide questo orientamento.
Ma il Bharatiya Mazdoor Sangh (BMS), legato al partito di destra BJP, ha fatto di tutto per fare affondare lo sciopero che nuoce al nuovo governo BJP formato nel maggio 2014.
Il sindacato INTUC, affiliato al Partito del Congresso, occupa il centro della scena mediatica ed è stato presentato come leader del movimento.
Accanto alle sue posizioni sulla possibilità di ampliare a 10 giorni lo sciopero, fin dall'inizio ha annunciato di non essere fossilizzato "su posizioni ideologiche" dicendosi pronto a cedere in cambio di una contropartita.
Lo sciopero è stato dunque fermato mercoledì sera, senza che fosse conosciuto il contenuto dell'accordo, né se potesse essere ulteriormente modificato. La direzione del CITU ha espresso il suo disaccordo per la decisione degli altri sindacati di porre fine allo sciopero prima di avere ottenuto soddisfazione.
Tuttavia esso ha mostrato il potenziale di mobilitazione della classe operaia indiana. E non è certo finita la lotta contro i progetti di svendita dei gioielli del patrimonio collettivo indiano, ereditato dalla lotta contro il colonialismo, dal contraddittorio tentativo di "socialismo indiano".
AC | solidarite-internationale-pcf.fr
www.resistenze.org - popoli resistenti - india - 18-01-15 - n. 527