
Hamilton de Holanda e
Joao Nogueira “Bossa Negra” – 2015

Il Choro non era
musica cantata, bensì rigorosamente strumentale, derivata dalla graduale
sovrapposizione di elementi che in Brasile provenivano dalla lontana terra
europea, con aspetti melodici e armonici confluiti da fox, scottisch, polca e
valzer, mescolati però al vigore del ritmo incalzante africano, già ben
presente nella cultura coloniale brasiliana dell’epoca. Il termine Choro era
legato al modo in cui il gruppo eseguiva qualsiasi cosa (in origine l’ensemble
di riferimento era un trio: flauto, cavaquinho e violaò, ovvero strumenti
cordofoni brasiliani). A poco a poco Choro, però, divenne anche il nome con cui
venivano denominati i gruppi che suonavano in questo stile, gli chòroes
appunto, spesso composti da ex galeotti o viandanti senza fissa dimora, sul
modello dei Barbapedana della musica
popolare milanese dei primi ‘900.
Nel Choro si palesò da subito quell’ingrediente speciale ed
originale poi più consapevolmente riproposto nel samba e in altre varianti
della cultura popolare brasiliana, la saudade,
ovvero quella dolce malinconia in parte derivante dal dolente fado
portoghese.
“Bossa Negra” parte da qui. Dall’incontro di due fondamentali
esponenti della nuova generazione di musicisti brasiliani post Caetano Veloso e
Gilberto Gil. Da un lato Hamilton de Holanda, virtuoso del bandolim, il
mandolino a dieci corde, nonché raffinato innovatore della tradizione che da
Villa Lobos passando per Pixinguinha arriva a Tom Jobim; dall’altro lato il
cantante Diego Nogueira, figlio del grande autore-compositore Joao Nogueira,
allevato alla scuola popolare del Samba e della danze tribali delle comunità
nere del nord-est.
L’album pone l’accento sulle radici africane della musica
brasiliana, propriamente Choro e Samba,
quest’ultimo da intendersi come il travolgente ritmo che cala “violentemente”
dalle favelas delle colline fino al centro di Rio, non come l’edulcorato
carnevale che conosciamo oggi. E poi, nell’album, incursioni fra i grandi
classici di Vinicius de Moraes, Ary Barroso, Arlindo Cruz. Spicca fra questi una
brillante rilettura di “Desde que o samba è samba” con la voce di Diego
Nogueira che scorre limpida come acqua sorgiva attraverso gli intrecci della
lussureggiante sezione ritmica e alle improvvisazioni del funambolico Hamilton
de Holanda con il suo mandolino.
Proprio de Holanda in più passaggi ci “fa precipitare” nel Tropicalismo, che distaccatosi dalla
Bossa Nova (senza rescinderne le radici comuni) produsse nel 1968 con l’album
“Tropicalia: ou Panis et Circenses” la vera rivoluzione musicale della stagione
delle contestazioni. Questo lavoro è considerato il manifesto musicale di
questo movimento, che fu artistico e sociale a tutto tondo. Veloso, Gil,
Buarque e “gli altri” hanno sperimentato strutture musicali non consuete. Con
testi ispirati a consapevolezza sociale e di attivismo politico e di dura
contestazione alla dittatura militare che oppresse il paese per due decenni. Il
Tropicalismo fu l’artefice di quella che
ora è conosciuta come “Musica popolare brasiliana”, da cui sgorga, tra gli
altri, lo splendido “Bossa Negra”.
Le radici del futuro.