recensione musicale a cura di Amerigo Sallusti
MASTER MUSICIANS OF JAJOUKA
Bill
Laswell è uno sperimentatore fra musiche tradizionali e avanguardia
contemporanea. Il bassista ha appena terminato un nuovo progetto con la
formazione indicato nel titolo, dopo che con la stessa aveva già elaborato nel
1992 “Apocalypse Across the Sky”, capitanata da Bachir Attar.
Quest’ultima
produzione è caratterizzata dall’estrema fluidità delle ritmiche magrebine,
impegnate in un dialogo con particolari strumenti elettrici. L’Occidente e il
mondo tribale si sovrappongono, e la ritualità offre stimoli inediti e
virtuosi. Scoperti per la prima volta dai Rolling Stones e dallo scrittore
William Burroughs, i Master Musicians
sono un’esperienza sonora imperdibile. Lewis Brian Hopkins Jones il
fondatore e “vero” leader delle Pietre
rotolanti era un vero innovatore nell’utilizzo degli strumenti tradizionali
delle culture popolari e così fece anche quando “agganciò” i Master Musicians.
Combo
di berberi dediti al Sufi che innestano costantemente di musica trance.
Provenienti dal villaggio di Jajouka nelle montagne del Ahl Srif nella parte
sud della catena del Rif, nel nord del Marocco. Considerando in primis che la
musica marocchina è di molti tipi e soprattutto la modalità araba, berbera e
andalusa.
Quest’ultima deriva direttamente dalle musiche della metà del 1500 ed
è caratterizzata dall’uso dei diversi dialetti locali che ne stilizzano il
cantato (spesso derivante da poesie popolari) su linee musicali invece simili
tra loro, legate soprattutto dal tradizionale violino kemanjah e dallo
strumento cordofono, simile ad un banjo, conosciuto come rebab. La modalità
araba ha mantenuto linee classiche senza mai evolversi, con espressioni vocali
dedicate a tematiche amorose o qualora satireggianti, con utilizzo di cori che
si rifanno alle litanie religiose e le parti di accompagnamento musicale
ridotte all’osso.
I Master Musician si rifanno alla “pratica” berbera,
strettamente collegata al ballo ed alle danze rituali anche nella variante sufi
(filosofia mistica pre-islamica). Fortemente caratterizzati, i Master Musicians
ma anche la modalità berbera, da un uso strenuo delle percussioni e tamburi
tradizionali, come i tambourines, definiscono il proprio ritmo con melodie
sincopate decisamente trascinanti che “lanciano” i danzatori in vorticose
estasi mistiche. Sono, i nostri, tra i principali animatori del festival di
Gnaoua di Essaouira, un’esperienza sensoriale completa, dove ogni anno musiche
provenienti da tutta l’Africa si intrecciano a rappresentazioni teatrali
catartiche.
Non foss’altro perché gli Gnawa (da cui Gnaoua) antichi discendenti
degli schiavi delle vie carovaniere che provenivano dall’oriente ( da qui il
frammischiarsi di generi e culture) fondarono confraternite e attraverso di
esse si arrivò al relativo culto di miscelare elementi africani e
arabo-berberi, cui in maniera preponderante si ispirano i Master Musicians e lo
si sente durante le loro esibizioni aperte dai maalem, i maestri cerimonieri, accompagnati dal suono del sintir o
guembrì (un caratteristico basso a tre corde utilizzato dai popoli nomadi del
Sahel) e dai tamburi di pelle di capra unitamente al battito dei crotales
(nacchere metalliche) mentre “partono” canti in arabo dialettale dal ritmo
ossessivo “assediati” da melodie pentatoniche e ritmi sincopati (quasi un blues
primigenio) il tutto accompagnato da frenetiche danze e battiti di mani.
Per
tal emotivo sul finire dei ’60 comunità hippy, artisti e musicisti di tutto il
mondo (da Zappa a Hendrix) cominciarono a visitare e stabilirsi in queste
lande, per capire in sostanza, come riscaldare gli algidi cuore dell’Occidente.
Si danza!