recensione musicale a cura di Amerigo Sallusti
Aziza Brahim. L’haul è una musica che stratifica in se diverse influenze e nasce proprio dall’incrocio tra le numerose popolazioni (Berberi, arabi, sudanesi) che attraversando il deserto con le loro carovane trasmettevano suoni, storie e tradizioni.
Aziza Brahim. L’haul è una musica che stratifica in se diverse influenze e nasce proprio dall’incrocio tra le numerose popolazioni (Berberi, arabi, sudanesi) che attraversando il deserto con le loro carovane trasmettevano suoni, storie e tradizioni.
Nella musica attuale, gli strumenti principali del haul sono
la chitarra elettrica e il tbal, suonato dalle donne, che ricorda i tamburi
romani, con corpo concavo realizzato da un unico pezzo di legno.
Sono altri gli strumenti che si suonavano tradizionalmente
come il tidinit, una specie di piccolo laùd con un corpo allargato; l’ardin,
simile a una kora, la chitarra tipica della prima fascia dell’Africa
sub-sahariana ma molto più semplice e i flauti usati dai pastori. La chitarra
che ha sostituito il tidinit infine, è stata introdotta dal cantante mauritano
Sidati Uld Abba verso la fine degli anni sessanta.
Ecco la musica saharawi, un incrocio di culture, una
miscellanea di idiomi, una stratificazione di influenze.
Sinchè il 6 novembre 1975 re Hassan II fece organizzare la
“marcia verde” con cui 350.000 marocchini entrarono nel Sahara Occidentale per
vanificare il referendum che avrebbe posto le basi di una definitiva
appropriazione dei territori sahariani occidentali da parte di chi ne aveva
piena legittimità, il popolo saharawi.
Una brutale invasione militare con bombe al napalm e la costruzione di campi di internamento per i resistenti che dettero vita, proprio in quei giorni, alla Repubblica Democratica Araba dei Saharawi in netta contrapposizione a quel sopruso.
Una brutale invasione militare con bombe al napalm e la costruzione di campi di internamento per i resistenti che dettero vita, proprio in quei giorni, alla Repubblica Democratica Araba dei Saharawi in netta contrapposizione a quel sopruso.
Resistenza che Aziza Brahim declina da anni sotto
forma-canzone. “Soutak” il suo ultimo lavoro significa La voce in lingua
saharawi. Le sue note infatti, i suoi testi danno fiato alla sofferenza dei
profughi nei campi in esilio, agli internati nelle prigioni marocchine ed al
ricordo delle migliaia di desaparecidos, scomparsi non nel mare come per le
dittature sud-americane ma nel deserto del Sahara. Nove brani compongono Soutak
attraversato dal flamenco spagnolo e dal blues del Mali, con una sorta di
lingua universale che miscela tutte insieme tradizioni e modernità.
Si parte con “Gdeim Izik” e si parte in quarta poiché è dedicata “al campo della dignità”, accampamento smantellato dalle forze di sicurezza marocchine nel 2010 con inaudita violenza. Segue “Manos enemigas” con splendide chitarre ed ipnotiche melodie accompagnate dalla profonda voce di Aziza che d’un balzo ci trasporta al duetto per voce e sole percussioni di “Aradana” che ricorda lontanamente alcuni stilemi musicali kmher. In sottofondo tuti i pezzi sono penetrati da nuance desertiche che esplodono invece nella finale “Ya Watani” in cui strumenti tradizionali e nulla più accompagnano Aziza in note di vita, libertà e dignità. Composizione musicale che ci porta direttamente (e a cui dedichiamo poiché recentemente scomparsa) alla grandissima Mariem Hassan che del popolo saharawi fu la prima porta bandiera a partire dai primi concerti che teneva nei campi profughi nel deserto subito dopo l’invasione della propria terra.
Si parte con “Gdeim Izik” e si parte in quarta poiché è dedicata “al campo della dignità”, accampamento smantellato dalle forze di sicurezza marocchine nel 2010 con inaudita violenza. Segue “Manos enemigas” con splendide chitarre ed ipnotiche melodie accompagnate dalla profonda voce di Aziza che d’un balzo ci trasporta al duetto per voce e sole percussioni di “Aradana” che ricorda lontanamente alcuni stilemi musicali kmher. In sottofondo tuti i pezzi sono penetrati da nuance desertiche che esplodono invece nella finale “Ya Watani” in cui strumenti tradizionali e nulla più accompagnano Aziza in note di vita, libertà e dignità. Composizione musicale che ci porta direttamente (e a cui dedichiamo poiché recentemente scomparsa) alla grandissima Mariem Hassan che del popolo saharawi fu la prima porta bandiera a partire dai primi concerti che teneva nei campi profughi nel deserto subito dopo l’invasione della propria terra.