Sona Maya Jobarteh è certamente da considerare quale
virtuosissima musicista di kora,
strumento cordofono tradizionale dell’Africa occidentale, proveniente da una
nota famiglia di griot di etnia mandinka del golfo di Guinea, golfo
che fece da propagatore per i cantastorie locali, che da lì si irradiarono al
Mali, al Senegal, al Gambia…
Come polistrumentista, cantante, compositrice e
produttrice Sona è tra le grandi donne d’Africa che si sono impegnate nel rompere
la tradizione maschilista di impedire alle donne di suonare gli strumenti
musicali, quali prerogativa strettamente maschile. Infatti i griot (quali detentori della conoscenza
sulle tradizioni, le gesta degli antenati, gli alberi genealogici dei clan,
ovvero dell’intera tradizione orale del popolo) sono tradizionalmente maschi,
radicata consuetudine che Sona ha deciso di interrompere. Nipote del maestro griot Amadu Bansang Jobarteh ha
collaborato come cantante, chitarrista e interprete della kora con importanti artisti internazionali quali Toumani Diabatè,
Juldeh Camara e Sambou Suso, ritagliandosi però sempre un proprio spazio
caratterizzato e caratterizzante una vera e propria sperimentazione artistica
nell’ambito di stilemi musicali tradizionali. L’album che ne dimostra tutte le capacità è Fasiya del 2011 che raccoglie tutto il patrimonio musicale dell’Africa occidentale (che è bene ricordare è considerata la “terra madre” del blues) un lavoro pieno di grazia e passione, amore per la propria terra, quale terra d’Africa ma contemporaneamente del mondo.
L’amore declamato in “Jarabi”, la tenacia delle donne africane in lotta per i propri diritti in “Musow”, la disperazione e l’utopia del cambiamento per i bimbi d’Africa in “Fatafina”…Voce, voci; kora, kore – da quella tradizionale a 25 corde della Casamance a quella elettrica, la cosiddetta gravikord-; percussioni e balafon strumenti diversi che danno vita ad un’omogenea mescolanza di suoni e impressioni.


