DOPO EXPO: I CAIMANI COMINCIANO A SBRANARSI. E NESSUNO PENSA AL BENE PUBBLICO
Milano – domenica, 01 febbraio 2015
Non è ancora iniziato che il dopo è già
cominciato. Sembra un paradosso ma non lo è: il dopo Expo da giorni è
sulle prime pagine del Corriere milanese e ha scatenato liti, appetiti e
fantasie. C’è chi rivanga vecchie storie: Cabassi piange perché gli
hanno pagato poco le sue terre e lo hanno pure deriso, Formigoni, allora
governatore lombardo, che lo conferma e si pavoneggia per averlo preso
in giro. C’è invece chi si inventa progetti d’ogni tipo: “deve diventare
una Silicon Valley dell’agricoltura e dell’agroalimentare”, dice
Viviana Beccalossi, assessore regionale all’Urbanistica; no, sostiene il
suo capo, il governatore Maroni, “voglio un nuovo stadio”; “meglio un centro
per la ricerca sul clima e le previsioni meteo”, afferma il commissario
Expo Sala. Intanto nessuno si è presentato alla gara per trovare “uno
sviluppatore di progetto”: troppi i 315 milioni di euro chiesti da
Arexpo (Comune, Regione, Fiera) che deve rifarsi delle spese sostenute. A
proposito, il Corrierone dice che è la prima volta al mondo che per
un’area Expo si utilizzano, pagandoli, terreni privati e non, gratis,
suolo pubblico. Gli interessati aspettano, sornioni, che ricominci la
solita buriana, scattino i soliti veti incrociati, si tiri in lungo
finché scatterà l’emergenza, quando si dovrà decidere, come già successo
prima, con il fiato sul collo e allora sì che verrà il bello, che gli
affari diventeranno appetibili,
che le aree verranno via per poco, che gli appalti fioccheranno copiosi.
Siamo alle solite: per anni amministratori pubblici, imprenditori,
finanziarie, immobiliaristi, società di servizi e di appalti, architetti
si sono scannati per saltare addosso a un progetto inutile,
costosissimo, devastante per la città, ma generosissimo per le loro
tasche. Con mafia e ‘ndrangheta che si fregavano le mani per il piatto
succulento sul quale buttarsii. Poi, messisi d’accordo, il progetto
divenuto realtà lo hanno spolpato ben bene. E adesso sono pronti a
ricominciare: c’è un’area da occupare, padiglioni da utilizzare, servizi
di base da sfruttare. Che poi si possa riconvertire quell’area per un
fine pubblico, magari edilizia popolare, scuole, università, ospedali,
veri centri di ricerca, non viene loro nemmeno in mente. O se per caso
succederà continueranno a utilizzare gli stessi metodi: appalti
truccati, corruzione, sprechi, interventi mafiosi, senza nessun
controllo da parte dei cittadini E pensare che si dovrebbe parlare di
alimentazione, cibo, colture biologiche. Ma chi se lo ricorda più che
sono questi i temi dell’Expo? I ristoratori che si sono presi l’appalto
delle cucine, forse.