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Stati Uniti,superpotenza in crisi.Dopo i tragici fatti di Dallas
I tragici fatti di Dallas sono avvenuti a pochi mesi dalle elezioni americane.Le elezioni presidenziali di novembre in USA sono particolarmente importanti, per i contenuti emersi nella campagna e il dibattito che hanno sollevato in una fase di grave crisi economica e sociale del paese. Il miliardario ‘politicamente scorretto’ Trump ha avuto facile successo nelle primarie contro dei candidati insulsi perché ha posto due temi chiave: il lavoro che manca e il deficit commerciale americano con la Cina, i paesi Opec e l’UE; gli avversari Sanders e Clinton hanno dovuto inseguirlo su questo terreno.
Wall Street è riuscita a trasferire la crisi finanziaria sull’Europa, mettendone a dura prova le banche e i debiti pubblici; ma la crisi è strutturale e globale e non si supera. Obama ha gestito gli interessi industriali (auto, shale oil and gas) e soprattutto ha finanziato le banche. Il loro salvataggio costò alla Fed dal 2007 al 2009 7.700 miliardi di dollari, metà del PIL, facendo guadagnare ad esse 13 miliardi, mentre quello della Chrysler, più o meno l’unico intervento pubblico nell’industria statunitense, costò solo 6 miliardi (Corriere 2.12.2011 e 30.3.2009). Quindi è chiaro che si butta denaro pubblico nelle banche molto più che nel salvare industrie, meno che mai nel sostenere i redditi dei lavoratori e delle minoranze.
La società americana è in declino: la povertà e la disoccupazione reale crescono, i conflitti sociali e razziali non sono affatto risolti (né coi lavoratori poveri, né con gli afroamericani né coi latinos), e questo è in drammatica evidenza dopo le uccisioni di neri, le proteste, il sanguinoso attacco di Dallas.
Interi quartieri sono abbandonati al degrado (e anche intere città, come New Orleans, devastata da Katrina, o Detroit dimezzata dalla crisi dell’auto). Dai dati di inizio 2015, il 39% dei lavoratori guadagna meno di 20.000 dollari (la soglia della povertà per una famiglia di 4 persone è 23.000 dollari): solo il 44% degli occupati lavora 30 o più ore settimanali; degli americani in età lavorativa 8,7milioni sono ufficialmente disoccupati e 92,9 milioni sono “non forza lavoro”(casalinghe, studenti, pensionati, militari, “forze di lavoro potenziali”, disoccupati da molto tempo).
Un quarto degli americani hanno più debiti del valore di quanto possiedono, il 47% della popolazione non può permettersi il pronto soccorso, 46 milioni di persone ricorrono ai banchi alimentari (ora proibiti in alcuni stati, Oklahoma, California ecc), un americano su sette rischia la fame. Chi vive nella precarietà economica abbandona l’auto non avendo 400 dollari per ripararla, perde la casa col mutuo che non riesce a pagare (e la sfascia prima di lasciarla alla banca); in California c’è gente che vive nelle aiole, a New York la polizia ha identificato 80 accampamenti di senzatetto ecc.
Lo 0,1% delle famiglie americane ha ricchezza pari a quella del 90%. Undici milioni di famiglie vivono e lavorano negli Stati Uniti illegalmente, un milione e mezzo vivono con meno di due dollari al giorno; nel 2015 un bambino su cinque usufruiva di buoni pasto e 2 milioni e mezzo vivevano in rifugi, per le strade, nelle macchine, o in campi senza alcuna tutela, a causa della povertà e delle violenze familiari. (lettera43, Avvenire 17.11.2014 ubiminor.org 27.11.2014)
La rabbia e l’opposizione crescono: secondo Pew Research per gli americani le misure del governo sono inefficaci per la classe media (72%) e le piccole imprese (68%), e hanno fatto fare “un grosso affare” alle grandi banche e alla finanza (52%).
Trump fa leva sulla mancanza di lavoro per propagandare il suo isolazionismo (“America first”) soprattutto verso i bianchi poveri e il ceto medio compresso verso il basso.Afferma che ci vuole più sicurezza, non si può lasciar entrare gli immigrati né dare la cittadinanza a chi nasce nel paese, va rafforzata la barriera col Messico;anche l’atto terroristico anti-gay a Orlando ha giovato alle sue sparate anti-islamici e a favore del libero commercio delle armi. Bisogna cambiare i rapporti con la Cina “anche a rischio di una guerra commerciale” e riportare a casa le industrie: “alle aziende che esportano la produzione in Messico dirò: metterò un dazio del 35% su ogni prodotto che venderete in America”. Ci si deve sganciare dagli impegni in Medio Oriente – “le nostre azioni in Iraq. Libia e Siria hanno aiutato l’Isis” – e sbarrare l’accesso ai musulmani. Ci vogliono più lavoro e salario con più esenzioni fiscali, tasse al 15% del reddito d’impresa grande o piccola che sia, più petrolio statunitense e niente tutela ambientale (” non si può distruggere la competitività delle fabbriche americane per prepararsi a un inesistente riscaldamento globale”), meno debito pubblico, niente tutele sanitarie e far contribuire gli alleati NATO ai costi della loro difesa.
Ai suoi comizi crescono le contestazioni degli avversari; è la prima volta che questo accade, finora avvenivano alle convention del proprio partito: si ricorda ancora quella alla convention democratica del 1968 a Chicago, dopo gli assassinii di Martin Luther King e di Robert Kennedy, contro Humphrey, la guerra nel Vietnam e il razzismo.
Hillary Clinton dichiara: “Nessuna banca è troppo grande per non fallire e nessun manager è troppo potente per non andare in prigione”, e si tira dietro ai comizi l’ex senatore Barney Frank, il coautore – dopo i disastri del 2008 – della riforma Dodd-Frank dei mercati finanziari (deregolamentati proprio da Bill Clinton); ma (su 120 milioni raccolti) alla fine di dicembre 2015 circa 21,4 milioni di dollari per la sua campagna elettorale provenivano da donazioni di hedge fund, banche, compagnie di assicurazione e altre società di servizi finanziari; in tutto, donatori di Wall Street e altre società finanziarie le hanno dato 44,1 milioni di dollari, più di un terzo del totale (gli speculatori George Soros e Donald Sussman le hanno versato rispettivamente 8 e 2,5 milioni, la sostiene anche il finanziere miliardario Warren Buffett).
Promette di opporsi a qualsiasi nuova tassa per le famiglie che guadagnano meno di 250 mila dollari l’anno, di volere un minimo salariale di 12 dollari l’ora, parità salariale tra uomini e donne, maggiori crediti d’imposta per le famiglie disagiate e diritto all’asilo nido per i figli dei lavoratori, di promuovere i diritti delle donne, delle minoranze, degli immigrati e dei gay, ma fatica a presentarsi come una donna comune, è troppo ricca e influente: ha incassato più di 3,7 milioni di dollari da discorsi a pagamento organizzati da banche e società finanziarie dal 2013 ad oggi (e il marito di Chelsea traffica in hedge fund, con clienti legati ai Rotschild e alla Goldman Sachs, la più potente banca d’affari).
L’anno scorso la stampa americana ha svelato che circa due milioni di dollari di fondi, raccolti dalla Fondazione Clinton sin dal 2001, venivano da donazioni di Arabia Saudita, Qatar, Kuwait e Oman, altri donatori erano Algeria, Brunei, gli Emirati; alla campagna di Hillary contribuiscono per 270 mila dollari lobbisti che da anni curano gli interessi di compagnie petrolifere, del gas e del carbone. Conseguentemente, è molto più interventista di Obama in Medio Oriente, e tace sul controverso oleodotto Keystone XL, che dovrebbe portare petrolio dal Canada verso le raffinerie americane: non intende abbandonare le fonti fossili (lo shale oil and gas) “ancora fondamentali per lo sviluppo, in particolare in alcune aree” né il nucleare.
Sanders invece promette pesanti tasse sulle attività finanziarie, una netta separazione tra banche commerciali e di investimento (cioè dedite alla speculazione), lo smantellamento delle assicurazioni sanitarie di Obama e l’abbassamento di prezzo dei farmaci per finanziare le cure mediche per tutti a carico dello Stato. Vuole salvaguardare il clima con una carbon tax e la moratoria nucleare. Il suo programma include la lotta alle diseguaglianze di reddito e ricchezza e un sistema di sicurezza sociale, la guerra come l’ultima opzione; l’istruzione universitaria gratuita, la creazione di lavoro pagato in proporzione alle necessità di una vita familiare dignitosa, alloggi a prezzi accessibili, sostegno all’economia rurale; una politica di immigrazione equa e una giustizia senza pregiudizi razziali, più potere ai nativi americani, tutela dei disabili e dei veterani, diritti ai gay e transessuali.
Ha detto: “prometto che sotto un’amministrazione Sanders non vedrete mai un ministro del Tesoro che viene dalla Goldman Sachs”, come fu Rubin sotto Bill Clinton. Non molla la campagna, sostenuto dai giovani, anche se ha metà dei delegati rispetto alla Clinton: ha rifiutato la richiesta di abbandonare fattagli da Obama e Hillary, vuole una convention divisa per combattere sul programma; è disposto a votare la Clinton solo per sbarrare la strada a Trump se diventasse davvero il candidato repubblicano per novembre. Si dichiara socialista, E’ stato eletto senatore da indipendente nelle liste democratiche, se gli sbarrano la strada, come è probabile, vorrebbe fare un partito nuovo della sinistra attraverso una ‘convenzione del popolo’.
La campagna è sempre più dura, con scontri fra i candidati e nelle piazze; fra i repubblicani Trump è a corto di fondi, e si troverà contro nuovi candidati che però dovranno affrontare i temi gettati in campo da lui; se sarà sconfitto potrebbe presentarsi come indipendente. Entrambe le convention saranno quindi combattute, chiunque sarà il vincitore dovrà esprimersi riguardo sia all’alta finanza, sia all’isolazionismo o meno, sia a politiche sociali, e chi infine sarà elettoPresidente dovrà tentare di rispondere al malcontento popolare emerso nelle piazze, ma di fatto il programma di governo sarà quello voluto dall’1% di straricchi e da Wall Street.
Da qui a novembre la strada è ancora lunga, potrebbero avvenire molti imprevedibili sviluppi, anche nelle relazioni internazionali: sono in gioco i rapporti con la Cina e il suo progetto di ‘nuova via della seta’; con i paesi del petrolio coinvolti dalle guerre e danneggiati dallo shale oil; i trattati economici con gli alleati in Europa e Asia sono in stallo (TTIP/TISA e TPP).Obama preme in tutti i modi sulla Unione Europea per la firma del TTIP prima delle elezioni della nuova presidenza.Negli Stati Uniti e qundi nel mondo niente sarà come prima.