recensione musicale a cura di Amerigo Sallusti
Aziza Brahim. L’haul è una musica che stratifica in se diverse influenze e nasce proprio dall’incrocio tra le numerose popolazioni (Berberi, arabi, sudanesi) che attraversando il deserto con le loro carovane trasmettevano suoni, storie e tradizioni.
Aziza Brahim. L’haul è una musica che stratifica in se diverse influenze e nasce proprio dall’incrocio tra le numerose popolazioni (Berberi, arabi, sudanesi) che attraversando il deserto con le loro carovane trasmettevano suoni, storie e tradizioni.

Sono altri gli strumenti che si suonavano tradizionalmente
come il tidinit, una specie di piccolo laùd con un corpo allargato; l’ardin,
simile a una kora, la chitarra tipica della prima fascia dell’Africa
sub-sahariana ma molto più semplice e i flauti usati dai pastori. La chitarra
che ha sostituito il tidinit infine, è stata introdotta dal cantante mauritano
Sidati Uld Abba verso la fine degli anni sessanta.
Ecco la musica saharawi, un incrocio di culture, una
miscellanea di idiomi, una stratificazione di influenze.


Una brutale invasione militare con bombe al napalm e la costruzione di campi di internamento per i resistenti che dettero vita, proprio in quei giorni, alla Repubblica Democratica Araba dei Saharawi in netta contrapposizione a quel sopruso.

Si parte con “Gdeim Izik” e si parte in quarta poiché è dedicata “al campo della dignità”, accampamento smantellato dalle forze di sicurezza marocchine nel 2010 con inaudita violenza. Segue “Manos enemigas” con splendide chitarre ed ipnotiche melodie accompagnate dalla profonda voce di Aziza che d’un balzo ci trasporta al duetto per voce e sole percussioni di “Aradana” che ricorda lontanamente alcuni stilemi musicali kmher. In sottofondo tuti i pezzi sono penetrati da nuance desertiche che esplodono invece nella finale “Ya Watani” in cui strumenti tradizionali e nulla più accompagnano Aziza in note di vita, libertà e dignità. Composizione musicale che ci porta direttamente (e a cui dedichiamo poiché recentemente scomparsa) alla grandissima Mariem Hassan che del popolo saharawi fu la prima porta bandiera a partire dai primi concerti che teneva nei campi profughi nel deserto subito dopo l’invasione della propria terra.