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sabato 14 gennaio 2017

Sona Maya Jobarteh, virtuosissima musicista (recensione musicale a cura di Amerigo Sallusti)

Sona Maya Jobarteh, virtuosissima musicista (recensione musicale a cura di Amerigo Sallusti)
Sona Maya Jobarteh è certamente da considerare quale virtuosissima musicista di kora, strumento cordofono tradizionale dell’Africa occidentale, proveniente da una nota famiglia di griot  di etnia mandinka del golfo di Guinea, golfo che fece da propagatore per i cantastorie locali, che da lì si irradiarono al Mali, al Senegal, al Gambia…
Come polistrumentista, cantante, compositrice e produttrice Sona è tra le grandi donne d’Africa che si sono impegnate nel rompere la tradizione maschilista di impedire alle donne di suonare gli strumenti musicali, quali prerogativa strettamente maschile. Infatti i griot (quali detentori della conoscenza sulle tradizioni, le gesta degli antenati, gli alberi genealogici dei clan, ovvero dell’intera tradizione orale del popolo) sono tradizionalmente maschi, radicata consuetudine che Sona ha deciso di interrompere. Nipote del maestro griot Amadu Bansang Jobarteh ha collaborato come cantante, chitarrista e interprete della kora con importanti artisti internazionali quali Toumani Diabatè, Juldeh Camara e Sambou Suso, ritagliandosi però sempre un proprio spazio caratterizzato e caratterizzante una vera e propria sperimentazione artistica nell’ambito di stilemi musicali tradizionali.
L’album che ne dimostra tutte le capacità è Fasiya del 2011 che raccoglie tutto il patrimonio musicale dell’Africa occidentale (che è bene ricordare è considerata la “terra madre” del blues) un lavoro pieno di grazia e passione, amore per la propria terra, quale terra d’Africa ma contemporaneamente del mondo.
L’amore declamato in “Jarabi”, la tenacia delle donne africane in lotta per i propri diritti in “Musow”, la disperazione e l’utopia del cambiamento per i bimbi d’Africa in “Fatafina”…Voce, voci; kora, kore – da quella tradizionale a 25 corde della Casamance a quella elettrica, la cosiddetta gravikord-; percussioni e balafon strumenti diversi che danno vita ad un’omogenea mescolanza di suoni e impressioni.
Quindi tradizioni e diaspora dei popoli africani insieme, uomini e donne soprattutto, protagoniste anche grazie a donne temerarie come Sona.

Nel 2016 ben 10 milioni di italiani hanno rinunciato a curarsi. (da controlacrisi.org)

Nel 2016 ben 10 milioni di italiani hanno rinunciato a curarsi. E la difficoltà economica è tra le prime cause.       I nuovi dati nel sondaggio di Demoskopika

Nel 2016 ben 10 milioni di italiani hanno rinunciato a curarsi. Perchè? Per le liste di attesa troppo lunghe o perché non si fidano del sistema sanitario della loro regione di residenza e non hanno le risorse economiche per spostarsi e per affrontare i costi della “migrazione sanitaria”.
Una famiglia su due (il 47,1%) ha dichiarato nel sondaggio realizzato da Demoskopika, su un campione rappresentativo di cittadini, di essersi tenuta a distanza dal sistema sanitario nazionale.
Quali le ragione? I pazienti mancati indicano fra i fattori principali i “motivi economici” e le lunghe liste di attesa rispettivamente nel 17,4% e nel 12,8% dei casi; il 6,7% del campione intervistato ha dichiarato di non curarsi “in attesa di una risoluzione spontanea del problema” o, addirittura, per “paura delle cure” come nell’1,5% dei comportamenti rilevati.
“L’impossibilità di assentarsi dal luogo di lavoro”, inoltre, ha rappresentato un deterrente per il 4,8% dei cittadini. Da ultimo, il federalismo sanitario non sembra giovare alla salute degli italiani: il 3,9% degli intervistati, pari a circa 2,4 milioni di italiani, ha dichiarato l’impossibilità a occuparsi della propria salute o di quella di qualche suo familiare perché “curarsi fuori costa troppo, non fidandosi del sistema sanitario della regione in cui vive”.

Quando le spese sanitarie sono indispensabili, molte famiglie finiscono sotto la soglia di povertà. L’impoverimento sanitario colpisce oltre 300 mila famiglie. Si tratta di un indicatore che fotografa la realtà di quelle famiglie che a causa di spese spese sanitarie out of pocket (farmaci, case di cura, visite specialistiche, cure odontoiatriche) sono scese al di sotto della soglia di povertà. L’indagine Demoskopika rivela che a finire nell’area dell’impoverimento, a causa delle spese sanitarie out of pocket, sono soprattutto le famiglie in Calabria, seguite dalla Sicilia, dall’Abruzzo, dalla Campania
In linea generale, il Piemonte è la prima regione per efficienza del sistema sanitario e strappa la prima posizione al Trentino Alto Adige, mentre la Calabria è la regione più “malata” del paese. Nella classifica “IPS 2016” la sanità del Nord si conferma la più virtuosa: dopo Piemonte e Trentino Alto Adige, si piazzano in buona posizione Lombardia ed Emilia Romagna, mentre il Lazio scende di dieci posizioni rispetto allo scorso anno.
Nelle ultime tre posizioni, che indicano le realtà sanitarie più “malate”, ci sono Puglia, Sicilia e Calabria.

Per il 40° di Medicina Democratica : 20 E 21 GENNAIO 2017 - MILANO - CONVEGNO APERTO PER UNA PIATTAFORMA PER IL DIRITTO ALLA SALUTE NEI LUOGHI DI VITA E LAVORO

20 E 21 GENNAIO 2017 - MILANO -  Programma del CONVEGNO APERTO PER UNA PIATTAFORMA PER IL DIRITTO ALLA SALUTE NEI LUOGHI DI VITA E LAVORO

mercoledì 11 gennaio 2017

Censis: in otto anni la spesa alimentare nelle famiglie operaie è crollata del 19% (da Rai News 24)


http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/crisi-in-tavola-spesa-alimentare-in-famiglie-operaie-crollata-quasi-20-per-cento-4d407e97-b7cc-45d7-ae9c-89faab4c0b09.html?refresh_ce

Si allarga il food social gap Censis: in otto anni la spesa alimentare nelle famiglie operaie è crollata del 19% Se nell’Italia del ceto medio vinceva la dieta equilibrata dal punto di vista nutrizionale disponibile per tutti - spiega il Centro Studi Investimenti Sociali - nell’Italia delle disuguaglianze il buon cibo lo acquista solo chi può permetterselo Tweet Istat, rincara il carrello della spesa: a giugno +0,2% Prezzi: un altro mese in deflazione, ma sale il carrello della spesa Consumi, Cgil: le famiglie tirano la cinghia, la spesa cala del 6,3% in otto anni 26 ottobre 2016 L'effetto della crisi si fa sentire anche in tavola: sono sempre di meno gli italiani che mangiano carne, pesce, frutta e verdura. In particolare, a ridurre il consumo di carne - solo nell'ultimo anno, come riporta un' indagine del Censis -  16,6 milioni di connazionali. Mentre 10,6 milioni hanno diminuito il consumo di pesce, 3,6 milioni la frutta e 3,5 milioni la verdura. La dieta italiana, fatta di quantità adeguate di cereali, carne, pesce, frutta e verdura, olio d’oliva, formaggi, legumi, ecc., che ci ha portato ad essere uno fra i popoli più longevi al mondo, con un‘aspettativa di vita media di 85 anni per le donne e di  80 anni per gli uomini, rischia di sparire dal quotidiano delle nostre tavole. L'Italia torna alla tavola per ceti Sono le famiglie meno abbienti a ridurre di più gli alimenti di base della buona dieta italiana.
Nell’ultimo anno hanno ridotto il consumo di carne il 45,8% delle famiglie a basso reddito contro il 32% di quelle benestanti. Di carne bovina, il 52% delle prime e il 37,3% delle seconde. Per il pesce, il 35,8% delle meno abbienti e il 12,6% delle più ricche. Per la verdura, riducono il consumo il 15,9% delle famiglie a basso reddito e il 4,4% delle più abbienti. Per la frutta, il 16,3% delle meno abbienti e solo il 2,6% delle più ricche. Se nell’Italia del ceto medio vinceva la dieta equilibrata dal punto di vista nutrizionale disponibile per tutti, nell’Italia delle disuguaglianze il buon cibo lo acquista solo chi può permetterselo. Si allarga il food social gap: spesa alimentare delle famiglie meno abbienti in picchiata
Nel periodo 2007-2015 la spesa alimentare delle famiglie italiane è diminuita in media del 12,2% in termini reali. Ma nelle famiglie operaie è crollata del 19,4% e in quelle con a capo un disoccupato del 28,9%. Ecco spiegato il food social gap: nella crisi il divario nella spesa per il cibo dei più ricchi e dei meno abbienti si è ampliato. Meno potevi spendere per scegliere il buon cibo, più hai dovuto tagliare la spesa. Le differenze a tavola diventano distanze e ormai fratture: si mangia quel che ci si può permettere, e il dibattito ideologico sul valore nutritivo degli alimenti è fuorviante. Allarme carne: il crollo dei consumi minaccia la dieta mediterranea. Se nel periodo 2007-2015 la spesa alimentare è diminuita del 12,2%, quella per la carne è scesa del 16,1%. Nello stesso periodo in Europa solo i greci (-24%) hanno tagliato di più degli italiani (-23%) il consumo pro-capite annuo di carne bovina. Queste riduzioni intaccano consumi di carne che in Italia erano già inferiori agli altri Paesi europei. Infatti, gli italiani si collocano al terz’ultimo posto in Europa per consumo «apparente» (cioè al lordo delle parti non edibili) delle diverse tipologie di carne (pollo, suino, bovino, ovino) con 79 kg pro-capite annui, distanti da danesi (109,8 kg), portoghesi (101 kg), spagnoli (99,5 kg) e anche francesi (85,8 kg) e tedeschi (86 kg).  Rischio salute dalla cattiva alimentazione La riduzione del consumo di alimenti come carne, pesce, frutta e verdura minaccia l’equilibrio nutrizionale della dieta delle famiglie italiane. E aumenta così il rischio di patologie. I tassi di obesità sono più alti nelle regioni con redditi inferiori e con una spesa alimentare in picchiata. Nel Sud, dove il reddito è inferiore del 24,2% rispetto al valore medio nazionale e la spesa alimentare è diminuita del 16,6% nel periodo 2007-2015, gli obesi e le persone in sovrappeso sono il 49,3% della popolazione, molto più che al Nord (42,1%) e al Centro (45%), dove i redditi medi sono più alti e la spesa alimentare ha registrato nella crisi una riduzione minore. - 


http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/crisi-in-tavola-spesa-alimentare-in-famiglie-operaie-crollata-quasi-20-per-cento-4d407e97-b7cc-45d7-ae9c-89faab4c0b09.html

IN MEZZO MILIONE SENZA IL MEDICO DI BASE (da Inchieste - La Repubblica)

IN MEZZO MILIONE SENZA IL MEDICO DI BASE


Italiani privi di domicilio o che vivono in case occupate, figli di immigrati irregolari che frequentano le nostre scuole, lavoratori comunitari con permesso di soggiorno scaduto: circa 500mila persone non hanno una regolare iscrizione al Servizio sanitario nazionale. Tra queste una larga parte sono bambini a cui viene negato l'accesso alle cure riconosciuto dalla Costituzione e dalla convenzione Onu per i Diritti del Fanciullo. Una situazione che il decreto Lupi per contrastare le occupazioni abusive, mettendo la residenza al centro di tutte le procedure burocratiche, ha reso ancor più drammatica. E costosa per i conti pubblici
Cure impossibili per chi non ha una residenza
Le tutele per gli stranieri secondo la legge
Troppi bambini lasciati senza pediatra
Cure impossibili per chi non ha una residenza
di ALICE GUSSONI
ROMA – Niente medico di famiglia, nessuna possibilità di farsi prescrivere un farmaco, incapaci di ottenere un semplice certificato che permetta a vostro figlio di tornare in classe dopo una banale influenza, costretti persino a rinviare la vaccinazione di un neonato. Un incubo vissuto in Italia da mezzo milione di persone, a prescindere dal reddito. Certo, un nesso con i soldi c'è e un benestante difficilmente si troverà in un guaio del genere, ma il vero discrimine non è la busta paga, bensì un buco nero della burocrazia in cui rischia di cadere, ad esempio, uno sfrattato. A decidere del nostro diritto ad essere seguiti da un dottore anche per l'ordinaria amministrazione è la residenza. Senza residenza, niente dottore. Questo dice la legge: chi non ha una casa dove abitare e non può fornire neppure un indirizzo di comodo, pratica che molte amministrazioni comunali in passato hanno adottato per venire in contro alle categorie più disagiate, non può iscriversi ad una Asl e scegliere il medico di base a cui rivolgersi. Il decreto contro l’abusivismo abitativo che porta il nome dell'ex ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi fa infatti della possibilità di dimostrare un indirizzo di residenza il discrimine fra chi ha diritto a un medico e chi no, fra chi può farsi prescrivere un farmaco pagando solo il ticket e chi invece per farlo deve andare al pronto soccorso o pagare un medico privato. Una sciagura, quindi, non solo per chi è colpito direttamente dalla mancanza di una casa, ma anche per l'intero Sistema sanitario nazionale visto che questo esercito di "senza medico di famiglia" si riversa per ogni evenienza sui già congestionati pronto soccorso.
Parlare di esercito non è una forzatura. In Italia le persone che si trovano in questa condizione, in base ai dati elaborati dalle organizzazioni che si occupano o rappresentano le principali categorie coinvolte, come detto sono oltre mezzo milione: circa 60mila sono i senza fissa dimora e circa 100mila gli abitanti delle occupazioni abusive (una parte dei quali risulta però ancora registrata alla vecchia residenza) a cui bisogna aggiungere oltre 300mila comunitari (soprattutto rumeni) rimasti in Italia malgrado il permesso di lavoro scaduto.
Dietro alle grandi cifre asettiche ci sono però le persone in carne ed ossa, con le loro storie spesso drammatiche. Graziano, italiano di 55 anni, cardiopatico, ad esempio è finito in strada per colpa dei debiti e l'unico modo che ha per curarsi è andare al pronto soccorso.
Angelo di anni invece ne ha appena 5. E' nato a Venezia, ma da genitori stranieri. Per questo non ha un pediatra della Asl e deve farsi visitare presso l'ambulatorio di Emergency di Porto Marghera perché sua madre non ha un contratto in regola, il lascia passare per ottenere la tessera sanitaria. Paradossalmente però Angelo può frequentare le scuole secondo il principio della non esclusione. Istruito, certo, sperando che non si ammali. Oppure Florin, rumeno, 35 anni: da 15 vive e lavora in Italia senza contratto, soffre di diabete ma non ha nessuno che gli faccia le impegnative per l'insulina. O ancora Irina, moldava ventiduenne che ha partorito da poco ma vive in una casa occupata e quindi ha dovuto pagare fino all'ultimo centesimo per ogni analisi, per ogni ecografia, mentre per fare avere un pediatra che si occupi di suo figlio Alessio ha dovuto iscriverlo al suo vecchio indirizzo. L'ultima spiaggia è il pronto soccorso. Uomini, donne, bambini, gestanti e malati cronici, italiani e stranieri: la legge infatti non ammette deroghe, o quasi. Per le cure urgenti rimane sempre il pronto soccorso: un takeaway della salute a cui ci si rivolge nell'85% dei casi per ricevere cure "non essenziali". Ma per molti è l'ultima spiaggia. Il servizio sanitario nel tentativo di ridurre le spese ha eretto una giungla normativa e burocratica, esasperata dal federalismo sanitario, creando differenze abissali fra regione e regione. Si è stimato che il costo di un intervento medio in pronto soccorso si aggira sui 250 euro, con punte di 400 euro e un minimo di 150 euro. Una cifra che fa paura se moltiplicata per i grandi numeri che oggi le grandi aziende ospedaliere registrano. Solo al pronto soccorso del San Camillo di Roma gli accessi medi giornalieri sono 279, di cui appena 4 in codice rosso e 41 in codice giallo. Tutti insieme generano una spesa di quasi 70mila euro al giorno, oltre 25 milioni l'anno.

Il costo di un medico di base per ogni paziente è invece di 44 euro l'anno. Pier Luigi Bartoletti, vicesegretario nazionale della Fimmg, la Federazione medici di famiglia, spiega: "Per noi la burocrazia sanitaria è come un rompicapo, ogni caso ha una sua contabilità: italiani, stranieri con codice Stp (Straniero temporaneamente presente, ndr), comunitari irregolari. I codici rilasciati per le prestazioni a chi non ha la tessera durano 6 o 12 mesi al massimo e quindi le liste vanno rinnovate in continuazione. La maggior parte degli stranieri poi non sa neanche come fare perché il sistema è molto complicato". Non tutte le regioni infatti hanno adottato la stessa procedura e nella maggior parte dei casi i neo comunitari, per via di accordi europei tra Stati membri, hanno accesso alla sanità pubblica solo a pagamento.
L'alternativa è tornare al proprio paese, anche se per molti di loro, che vivono e lavorano qua da decenni, è quasi impossibile.
Le conseguenze del decreto Lupi. Paradossalmente va meglio per gli extra comunitari, a cui invece sono stati dedicati degli ambulatori nelle Asl, anche se non mancano i casi limite, come quello che racconta il dottor Bartoletti: "Ho avuto in cura un paziente bengalese a cui era stata diagnosticata una tubercolosi cerebrale, altamente infettiva. Per fare una risonanza alla testa tramite Asl gli erano stati chiesti 200 euro e quindi non aveva fatto più nessun controllo. Quando ho capito cosa era successo sono diventato verde: abbiamo proceduto d'urgenza tramite una mia personale richiesta presso un centro specialistico, ma è stato solo un puro caso che io abbia potuto leggere la sua cartella clinica". Bartoletti è convinto che seppure i problemi non siano mai mancati, il giro di vite sulla questione della residenza li ha sicuramente esasperati: "Spesso dice tutto dipende dall'impiegato della Asl: esiste quello più accomodante e quello più intransigente.
La vera follia però è nel pensare di accogliere tutti senza garantire un reale percorso per la salute". Una strada alternativa per avere un medico passa tramite i servizi sociali, ma spesso è lunga e tortuosa e non sempre arriva al traguardo. In particolare sono gli italiani a farne richiesta, ma anche per loro molto spesso sorgono difficoltà. In tanti, per esempio, temono che il ricorso agli assistenti sociali possa danneggiare i propri figli perché rischiano di essere allontanati dalle famiglie."Chi abita in una casa occupata non è un cattivo genitore", racconta Giulia, madre di due bambini di 9 e 11 anni che vivono con lei in via Prenestina, nel cosiddetto "4 stelle" di Roma, un ex hotel occupato. "Spesso però ci fanno sentire come se avessimo commesso chissà quale crimine. Quando perdi la residenza è come entrare in un girone infernale e gli assistenti sociali invece di aiutarti minacciano in continuazione di fare dei controlli per vedere se ci sono violenze o chissà cosa. Tutto questo perché hai chiesto di avere un pediatra o l'esenzione per reddito. L'alternativa è iscrivere i figli all'indirizzo dove si risiedeva prima, sperando di non essere ancora stati cancellati dall'elenco". Un trucco a cui si ricorre con la complicità degli impiegati o dei medici, perché a volte anche il muro burocratico cede davanti a questi casi disperati.
Diritti negati. Quali che siano cause o motivazioni, l'elemento comune a tutti è la negazione del diritto alla salute sancito dall'articolo 32 della Costituzione. A fare da tampone rimane il volontariato a cui lo Stato demanda con sempre maggiore frequenza un compito che in teoria dovrebbe assolvere da solo. Secondo i dati forniti dal Banco Farmaceutico, in Italia sono 1670 le associazioni, enti e ambulatori a esso affiliati che forniscono prestazioni mediche. Il loro lavoro è rivolto ad una platea di oltre 400mila persone. "Il ricorso al volontariato è come un dito che cerca di tappare una falla enorme che rischia di travolgere tutti", denuncia Lucia Ercoli di Medicina Solidale. "Noi a
Roma avevamo un accordo con il policlinico di Tor Vergata. Due anni fa ricorda
la dottoressa non è stato più rinnovato e ora non possiamo prescrivere medicinali né programmare parti cesarei o analisi di routine. Le persone che arrivano qui hanno malanni apparentemente semplici da curare, come ipertensione o dermatiti, le malattie della povertà, che se trascurate portano però a patologie gravi".
L'ambulatorio di Medicina Solidale si trova nel cuore di Tor Bella Monaca, a Roma. Un posto di frontiera dove la miseria non è l'unico problema: "Spesso i pazienti arrivano da noi in macchina continua la dottoressa Ercoli e hanno anche un lavoro, ma tutto questo non basta per integrarli nel sistema sanitario, devono avere i documenti a posto". Chi non lavora in regola non può avere un contratto di affitto registrato, così quando salta un anello tutta la catena si smonta fino al rischio di clandestinità per gli stranieri, che senza residenza non possono rinnovare il permesso di soggiorno.

Le tutele per gli stranieri secondo la legge
Gli immigrati regolarmente residenti in Italia hanno diritto all'iscrizione al Sistema sanitario nazionale e contribuiscono, al pari degli italiani, al finanziamento del Ssn attraverso la fiscalità generale.
Per gli immigrati extracomunitari non in regola con il permesso di soggiorno ai quali deve essere garantita l'assistenza essenziale, la spesa sostenuta per le prestazioni relative a malattia ed infortuni sono recuperate dai paesi di provenienza, rimanendo a carico delle
Regioni e del Ssn le prestazioni relative all'area maternoinfantile e alla prevenzione; per queste ultime le Regioni e le Province Autonome ricevono un parziale finanziamento annuale dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe).
Per gli immigrati provenienti dai paesi Ue e non residenti in Italia il recupero della spesa avviene attraverso la mobilità internazionale, rimanendo, per il momento, a carico delle Regioni e delle pubbliche amministrazioni le prestazioni essenziali erogate a favore degli
"indigenti", parificati nel trattamento agli extracomunitari indigenti.
(da Accordo Stato – Regioni (Rep. Atti n. 255/CSR) “Indicazioni per la corretta applicazione della normativa per l'assistenza sanitaria alla popolazione straniera da parte delle Regioni e Province autonome”, G.U. n. 32 del 7 febbraio 2013 , suppl. ord. 9)

Troppi bambini lasciati senza pediatra
di ALICE GUSSONI
ROMA. I primi a fare le spese del cortocircuito tra burocrazia e diritto alla salute sono i bambini, a cominciare dai figli degli stranieri irregolari. Per loro a venir meno, nonostante le indicazioni del ministero della Salute, è anche la garanzia basilare dei vaccini. "Non sono poche le mamme che riferiscono di aver avuto dei problemi per vaccinare i loro bambini", racconta suor Anna Maria dell'Opera San Francesco di Milano "Noi cerchiamo di fornire indicazioni in proposito e ormai abbiamo delle Asl di fiducia, da poco diventate Asst, Aziende socio sanitarie territoriali, dove indirizziamo le persone, perché non tutti gli ambulatori garantiscono le stesse prestazioni". A Milano, eletta capitale del volontariato con quasi 150mila operatori sul campo, malgrado la capacità di intervento che queste possono garantire a fronte di una situazione drammatica, c'è chi mette in discussione l'opportunità di fornire anche alle associazioni onlus il ricettario rosa con cui dispensare cure all'esercito dei senza dottore.
Costi pagati dalle associazioni. Posti come l'Opera San Francesco, ad esempio, sono diventati punti di riferimento per il Servizio sanitario nazionale (Ssn). "Qui viene chi non può accedere ai servizi della Asl spiega ancora suor Anna Maria Forniamo oltre 33mila
prestazioni l'anno a migliaia di pazienti e fra questi i bambini sono quasi 400. Nella maggior parte dei casi arrivano per visite pediatriche di routine". Ovviamente a farsi carico dei costi di questo sistema sanitario parallelo sono le associazioni. Ma quello che apparentemente sembra un risparmio per la sanità pubblica, in realtà si rivela un sovrapprezzo. Da uno studio eseguito per conto del "Centro nazionale per il controllo e la prevenzione delle malattie" e finanziato dal ministero dell'Economia, si scopre che il costo dei piccoli pazienti finisce infatti per ricadere sui bilanci degli ospedali pubblici dove, come si legge nel documento, "i dati relativi agli immigrati irregolari nella classe di età pediatrica (014 anni) presentano ricoveri con valore tariffario e peso medio superiore a quelli degli immigrati regolarmente residenti e suggeriscono la necessità di una presa in carico dei bambini da parte del pediatra di base onde evitare che arrivino in ospedale in condizioni di maggiore gravità con conseguenze e sulla salute e sui costi".
Una conclusione a cui si aggiungono le indicazioni dell'accordo StatoRegioni del 20 dicembre 2012 per l'assistenza sanitaria alla popolazione straniera da parte delle Regioni e delle Province autonome. L'intesa prevede l'iscrizione al Ssn e quindi il pediatra di libera scelta anche per i bambini figli di "irregolari". Nella realtà l'obiettivo è rimasto disatteso ed è persino possibile stilare una classifica delle sanità regionali in base al loro grado di incapacità di garantire persino l'assistenza sanitaria di base ai figli dei comunitari indigenti senza permesso di soggiorno. Una situazione in conflitto non solo con gli auspici della Conferenza Stato Regioni, ma anche della convenzione Onu per i Diritti del Fanciullo che sancisce a livello internazionale la tutela della salute di tutti i minori.
Una causa contro la Regione Lombardia. Per porre fine a questa violazione, nel 2014, il Naga, associazione di volontariato storica nell'area milanese, ha fatto causa alla Regione Lombardia tramite il Tribunale amministrativo regionale, ottenendo la stesura di un piano di assistenza medica per i minori esclusi. Vittoria di Pirro però, perché la situazione anche all'indomani della sentenza non è cambiata un granché. Lo spiega Pierfrancesco Olivani, direttore sanitario del Naga: "Nonostante le indicazioni dell'Accordo stipulato nel 2012, in quasi tutte le regioni italiane l'accesso alle cure in mancanza dei requisiti previsti è garantito solo per i minori di 14 anni e spesso ai soli extracomunitari. Gli impiegati delle Asl hanno indicazioni vaghe in proposito, quindi spesso si lascia alla libera iniziativa la soluzione del problema dei documenti, soprattutto per quanto riguarda italiani e comunitari non in regola. A volte si può avere fortuna, a volte invece si rischia di escludere anche chi avrebbe diritto a un minimo di copertura". I funzionari del Comune di Milano interpellati in proposito sottolineano però che "una legge nazionale non esiste, quindi in seguito alla sentenza del Tar abbiamo messo in atto una sperimentazione triennale, in scadenza alla fine del 2016. Il futuro? Al momento non abbiamo nessuna indicazione".
Nel Lazio la situazione non è molto diversa e il numero di bambini in cura in strutture come l'Istituto nazionale migrazione e povertà paura: quasi 2.300, di cui il 45% sotto i 12 anni, la metà dei quali figli di stranieri senza documenti in regola. "Qui possono ottenere visi gratuite e senza impegnative, ma restano comunque esclusi dalla sanità pubblica", commenta il dottor Antonio Fortino, direttore sanitario dell'Inmp. "Il sistema sottolinea non è più permeabile come prima, anche per la rinnovata attenzione alla questione della residenza, e oggi possono passare anni prima di riuscire a integrarli".
Discontinuità nelle cure. L'accordo Stato Regioni rimane per ora il punto di riferimento legislativo, ma il suo recepimento stenta a diventare operativo. La realtà sul territorio nazionale fotografata dalla Simm, la Società italiana di medicina delle migrazioni, mostra una disomogeneità totale. Secondo il presidente Salvatore Geraci l'aumento del flusso migratorio e la crescente crisi economica del sistema sanitario hanno creato il caos. "Noi accogliamo oltre tremila pazienti qui alla Caritas di Roma e di questi il 7% sono bambini in età scolare", dice Geraci, che ricopre anche il ruolo di direttore sanitario al centro di via Giolitti. "Tutti aggiunge hanno diritto ad essere seguiti anche se non possono avere un pediatra di libera scelta. Questa mancanza crea discontinuità nelle cure e a lungo possono insorgere patologie altrimenti facilmente risolvibili".
La soluzione che è stata adottata in molti casi è l'accesso spot a una lista di pediatri, ma la trafila burocratica scoraggia la maggior parte dei genitori. "Il regolamento vuole che si faccia richiesta di un codice presso la Asl continua Geraci e che con questo si chieda di
accedere a una lista di pediatri. Bisogna quindi prenotare un appuntamento e infine si fa la visita. In molti casi però si tratta di genitori che lavorano, magari in nero, a cui serve banalmente un certificato di rientro a scuola per il figlio o un semplice antibiotico. Tutta questa trafila complica situazioni semplici. Inoltre, dopo la chiusura delle iscrizioni in via Modesta Valenti, l'indirizzo fittizio creato appositamente dal Campidoglio per venire incontro a questo tipo di difficoltà, le residenze virtuali vengono assegnate presso le associazioni di volontariato, che per lo più si trovano nel I Municipio. Questo ha creato un ulteriore aggravio per le Asl del territorio, creando liste di attesa abnormi".

http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/repit/2016/10/31/news/l_esercito_dei_senza_medico150189515/?ref=HREC118&refresh_ce

il nostro augurio per il 2017: per un anno di lotte per il LAVORO, il WELFARE, la DIGNITA', il REDDITO, la SALUTE, la PACE