recensione musicale a cura di Amerigo Sallusti
MONAETHPAKI “Rebeletiko” 2015, autoprodotto.
Quando nel 1928 Michalis Patrinos incise Misirlou non poteva certo immaginare che un giorno sarebbe divenuto
globalmente famoso grazie al regista Quentin Tarantino che la inserì nella
colonna sonora del film Pulp Fiction.
Per suonare il rebetiko viene utilizzato il bouzouki
lo strumento musicale greco più famoso al mondo e, in realtà, molti rebeti
usano il baglama, un piccolo bouzouki
lungo circa 50-60 cm, più comodo da portare in giro.
Le origini di questi strumenti
si perdono nell’antichità insieme agli altri che comunemente si usano quali la
lira, il clarinetto, il violino, il santouri
e il kanonaki (due particolari
strumenti a corda) e poi l’oud e lo tzouras (simili al bouzouki) ed infine
il tumbeleki (una specie di tamburo).
Un uso corale di strumenti per una
musica appellata rebetiko che in turco significa fuorilegge. Perché è giusto
ricordare che tutto ciò nasce “a causa” della grande sconfitta greca nel 1923
ad opera della confinante Turchia che a seguito di tale conflitto acquisì una
serie di territori da tempo immemore facenti parte della Grecia continentale;
in tale frangente oltre un milione di greci dovette fuggire così come dovettero
fare altrettanti turchi in senso inverso per scampare alle persecuzioni che
stavano esplodendo nei loro confronti.
I Monaethpaki
gruppo di giovani ateniesi che si è autoprodotto il proprio cd ci parlano
di queste tematiche nelle loro canzoni: guerre, povertà, migrazioni, sofferenze
dei popoli. Il rebetiko si sviluppa su più fasi temporali peculiari ma tutte
scaturiscono egualmente nelle grandi periferie delle città portuali, tra i
marinai, i baraccati, gli emarginati, i disoccupati, simile in ciò al fado, al
tango…
Questo genere, questa attitudine musicale infatti ritorna sempre
(musicalmente) alle origini quando gli “avvenimenti umani” mutano in
sommovimenti, peregrinazioni di massa e non a caso anche per i Monaethpaki il percorso è lo stesso;
nascono nella temperie sociale di questi ultimi anni, di una Grecia scossa e ribollente
per le tempeste economico-finanziarie mondiali e nei loro testi, nelle loro
musiche si odono, si percepiscono sentimenti divergenti quali le cupe ombre del
presente e lucide utopie di un cambiamento possibile.
Con un sottofondo costante di litanie arabe e
gitane a rappresentare musicalmente il crogiuolo rappresentato da una terra di
confine come quella “attualmente” divisa da confini “nominati” greco-turchi.
Strumenti tradizionali, vocalizzi attuali, ispirazioni antiche e speranze
futuribili attraversano i momenti più lenti dei brani che di colpo e
frequentemente vengono scossi da turbinii, quasi a rappresentare in note la
realtà materiale della loro terra, quella Grecia che ha dato vita alla
filosofia, summa delle conoscenze, ora messa all’angolo da un manipolo di
tecnocrati e speculatori di ogni risma. La miglior risposta è questa dei
Monaethapaki: “Sarà una musica che vi seppellirà” per parafrasare un vecchio
slogan di qualche decennio fa.