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giovedì 21 luglio 2016

CUBAN BEATS ALL STARS (recensione musicale a cura di Amerigo Sallusti)

recensione musicale a cura di Amerigo Sallusti
CUBAN BEATS ALL STARS

Le radici della musica cubana si possono trovare nei cabildos, ritrovi sociali auto-organizzati per schiavi africani. Ogni cabildo riuniva una etnia o più gruppi etnici sovraregionali (riferendoci all’Africa, il luogo di origine). I cabildos principali erano tre: gli Yoruba, i Congolesi, i Dahomey. Senza dubbio all’interno di un cabildo erano presenti più culture, che vennero preservate anche dopo l’abolizione della schiavitù nel 1886. Sono poi tre i fondamentali filoni musicali. Il primo è quello del sòn, genere di matrice spagnola e africana, la cui evoluzione ha portato alla nascita negli anni trenta di famosissimi gruppi detti septetos e sextetos. Un secondo filone, il danzon, attinge alla tradizione francese ed è una forma dai toni più sommessi e affidata a una strumentazione composta per lo più di strumenti a corda. Il terzo è infine attribuibile integralmente alla cultura africana. Sicuramente gli strumenti più importanti sono i tamburi, dei quali originariamente ne esistevano 50 tipi diversi; oggi abbiamo bongo, congas e batà. Parimenti importanti sono le claves ed il Cajon. E proprio su questi due ultimi strumenti si innerva il suono “tradizionalmente” moderno dei Nostri. Che germinano dalla strepitosa band (cubana anch’essa) degli Orishas che ad un certo punto si diede diverse esplorazioni musicali per i componenti la stessa. Quattro quinti d’essa confluì nei Cuban Beats All Stars dando vita ad un meltin’ pot musicale davvero caleidoscopico, tradizione cubana con suoni tipicamente urbani, loop elettronici con nenie tribali e con una gamma di temi affrontati quali la critica sociale, la strenua difesa dell’ambiente, la stigmatizzazione dei perbenismi, la difesa dei liberi costumi…con il sottofondo di un suono magico e cangiante come a leggere le pagine più belle di Garcia Marquèz ed il loro clima straniante. Hiram Riverì (voce) Nelson Palacios (voce, violino e piano) Vladimir Nùnèz (percussioni e cori) Dj Tillo (dj e cori), un combo lanciato per sentieri immaginifici in cui la canciòn (genere che trova origini nelle forme della musica popolare spagnola come tirana, polos e boleros a base di melodie intricate e scure conditi da testi enigmatici che nel tempo divennero più esplicitamente sociali quando la canciòn venne “presa” a stumento dai trovadores, un movimento di musici itineranti ispirati direttamente dal popolo minuto) si mescola allo Changuì (stile  musicale che nasce intorno al 1800 nella regione di Guantanamo e si sviluppò nelle raffinerie della canna da zucchero e nelle comunità rurali popolate dagli schiavi –un po’ come lo stevedore, il genere musical-vocale dei portuali americani che darà le basi per il primissimo blues- e che combina la chitarra delle desolate lande spagnole –del tempo- con i ritmi africani e le percussioni di origini Bantu Arara) insieme alle iperboli del polistrumentista Roy Pinatel, ormai il quinto membro fisso, diplomato al conservatorio di Santiago di Cuba ed amante del jazz che si frantuma nel Hip Hop. Per l’appunto l’Hip Hop con i tradizionali stilemi che lo contraddistinguono a dare un confine musical al tutto. E quindi ampie parti vocali di solo parlato, tessiture elettroniche downtempo, beats elettronici, percussioni tribali, litanie chitarristiche catalane...la globalizzazione, quella delle culture però.