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sabato 14 gennaio 2017

Sona Maya Jobarteh, virtuosissima musicista (recensione musicale a cura di Amerigo Sallusti)

Sona Maya Jobarteh, virtuosissima musicista (recensione musicale a cura di Amerigo Sallusti)
Sona Maya Jobarteh è certamente da considerare quale virtuosissima musicista di kora, strumento cordofono tradizionale dell’Africa occidentale, proveniente da una nota famiglia di griot  di etnia mandinka del golfo di Guinea, golfo che fece da propagatore per i cantastorie locali, che da lì si irradiarono al Mali, al Senegal, al Gambia…
Come polistrumentista, cantante, compositrice e produttrice Sona è tra le grandi donne d’Africa che si sono impegnate nel rompere la tradizione maschilista di impedire alle donne di suonare gli strumenti musicali, quali prerogativa strettamente maschile. Infatti i griot (quali detentori della conoscenza sulle tradizioni, le gesta degli antenati, gli alberi genealogici dei clan, ovvero dell’intera tradizione orale del popolo) sono tradizionalmente maschi, radicata consuetudine che Sona ha deciso di interrompere. Nipote del maestro griot Amadu Bansang Jobarteh ha collaborato come cantante, chitarrista e interprete della kora con importanti artisti internazionali quali Toumani Diabatè, Juldeh Camara e Sambou Suso, ritagliandosi però sempre un proprio spazio caratterizzato e caratterizzante una vera e propria sperimentazione artistica nell’ambito di stilemi musicali tradizionali.
L’album che ne dimostra tutte le capacità è Fasiya del 2011 che raccoglie tutto il patrimonio musicale dell’Africa occidentale (che è bene ricordare è considerata la “terra madre” del blues) un lavoro pieno di grazia e passione, amore per la propria terra, quale terra d’Africa ma contemporaneamente del mondo.
L’amore declamato in “Jarabi”, la tenacia delle donne africane in lotta per i propri diritti in “Musow”, la disperazione e l’utopia del cambiamento per i bimbi d’Africa in “Fatafina”…Voce, voci; kora, kore – da quella tradizionale a 25 corde della Casamance a quella elettrica, la cosiddetta gravikord-; percussioni e balafon strumenti diversi che danno vita ad un’omogenea mescolanza di suoni e impressioni.
Quindi tradizioni e diaspora dei popoli africani insieme, uomini e donne soprattutto, protagoniste anche grazie a donne temerarie come Sona.

giovedì 14 gennaio 2016

Hindi Zahrala : musica magnetica di questa Kate Bush dell’Atlante marocchino (recensione musicale a cura di Amerigo Sallusti)


recensione musicale a cura di Amerigo Sallusti
HINDI ZAHRAIA. La musica magnetica di questa Kate Bush dell’Atlante marocchino è la piena dimostrazione che la musica ha la forza di unire armoniosamente le differenze, in queste caso le sponde del Mar Mediterraneo.Accompagnata da una band di musicisti davvero eterodossi ( in forza delle ispirazioni multicolori che li caratterizzano) quali il tastierista, trombettista e flautista David Dupuis, il bassista Jeffrey Hallam, i chitarristi Jerome Plasseraud e Paul Salvagnac, il percussionista Ze Luis Nascimento e il batterista Raphael Seguinier.
Già il precedente album “Handmade” era apparso fresco e avvincente come un fiore nel deserto ma quest’ultimo decisamente ancor di più. “Homeland” è ancor più caratterizzato da un moderno ritorno alle radici. Si sente forte la musica gnawa, quel crogiuolo di musica araba e berbera che affonda le sue radici nelle carovane che attraversavano il Sahara e quindi sono in tutta evidenza nelle musiche di ogni singolo brano quegli strumenti tradizionali quali la guaita (strumento a fiato) e il qraqb (strumento a percussione simile alle nacchere).
D’altro canto un disco registrato tra Marrakesh (in un riad tipico della Kasbah) Essaoura e Cordòba non può che caratterizzarsi per onde musicali transfrontaliere come le onde umane delle migrazioni contemporanee e che come queste porta sempre con se anche un pizzico di musica gitana, che Bombino (il noto chitarrista del deserto) rielabora in ogni singolo pezzo in cui collabora nel disco, unendo tali note al preponderante amore per il blues (dal maliano Ali Farka Tourè) che lo caratterizza. Quindi i profumi di bossanova di Can We Dance e il tutto arabeggiante di Cabo verde che riporta al favoloso Beautiful tango del precedente album. E poi la accattivante The Moon is Full che pare una suadente canzone da “Rive gauche”, quale una sorta di Edith Piaf del deserto a vocalizzare un testo carico di phatos.
Un mosaico di tradizioni artistiche, una miscellanea di influenze tenute insieme da una figlia della cultura mediterranea tutta, senza esclusioni di sorta. Con un ricamo di tessiture elettroniche appena percettibili infine, elaborate da Beth Gibbons dei Portishead. Senza dimenticare che in alcuni passaggi è evidente la lezione dei maestri del “gnawa sound”, quei Master Musician of Joujouka tanto amati da Brian Jones e dai poeti della letteratura baetnik. Il cerchio che si chiude.

giovedì 5 novembre 2015

Bukola Elemide in arte Asa (recensione musicale a cura di Amerigo Sallusti)

recensione musicale a cura di Amerigo Sallusti
ASA

Asa voce e chitarra, Janet Nwose voce, Nicolas Mollard chitarra, Jean-Francois Ludovicus batteria, Stefane Castry basso, Didier Davidas tastiere. Un combo davvero entusiasmante accompagna Bukola Elemide in arte Asa, 32 anni nigeriana nata a Parigi. Il suo nuovo album “Bed of Stone” uscito a fine agosto è un canto libero come il significato del nome d’arte che ha scelto, falco. Cresciuta in Nigeria, a Lagos, dal debutto, nel 2007 con l’album “Asa”, è spesso paragonata per la sua voce calda e graffiante a Tracy Chapman. 
Ma la musica della trentaduenne è quella che ha assimilato da Fela Kuti e Angelique Kidyo, con la quale collabora. E poi Bob Marley ed Eryka Badu, artisti anch’essi che in qualche modo l’accompagnano dalla nascita. Ed il collante di tutte queste sfaccettature infine, quella koinè artistica che è la caratteristica delle musicalità presenti nell’Africa occidentale grazie all’espressività yoruba. 
L’impegno per la sua Nigeria poi, nazione in turbolento sviluppo, era il motivo al centro del primo album, portato al successo dalla hit “Fire on the Mountain”, mentre la bellezza della vulnerabilità era il concept del successivo “Beautiful Imperfection”, del 2010. Nel nuovo disco che Asa ha scritto tra Berlino, Lagos, New Orleans, Londra, è l’amore, alla fine, che fa da traino alle nuove canzoni, in equilibrio tra influenze black americane e identità africana. Lagos, una città pullulante di gente e vibrante di energia, ma anche un luogo caratterizzato da una profonda spiritualità. L’Islam e il Cristianesimo convivono in un’atmosfera di tolleranza, i giovani imitano l’America, la città turbolenta si muove senza sosta in un balletto armonioso e infernale di amore e di odio, risate e violenza, povertà e benessere. Città dove negli anni suo padre ha accumulato una notevole collezione di dischi, soprattutto classici soul e musica nigeriana. 
La piccola Asa è cresciuta con il suono di artisti quali Marvin Gaye e Aretha Franklin dai quali trarre continuamente ispirazione. Nel 2006 Asa ritorna a Parigi e si ritrova a suonare con artisti quale Nubians, Manu Dibango e Tony Allen. Nel luglio 2007 firma per la label Naive producendo un magnifico album pieno di emozioni e melodie; la voce della giovane cantante e la sua energia confermano il suo eccezionale talento. Ad accompagnarla e a dare luce particolare al disco è il flauto del “maestoso” Magic Malik. L’R&b si unisce al pop e al reggae in “Fire on Mountain”, primo singolo dell’album e suo vero hit “di sempre”, un’impertinente e velata metafora per un mondo ignorante e indifferente. Chi si rifiuta di prestare attenzione alle scintille non avrà altra scelta se non correre quando scoppierà l’incendio. 
Il fuoco rappresenta simbolicamente i conflitti e i problemi dell’umanità di cui non ci prendiamo più cura: la violenza domestica, la povertà fuori dalla porta di casa, e così via. Asa esprime in tanti modi diversi il suo punto di vista agrodolce nei confronti della realtà che la circonda. E così denuncia la moderna schiavitù in tutte le sue forme; gli scempi ambientali e tutte le guerre. Come  una moderna griot o cantastorie gira per il mondo accompagnata da antichi strumenti cordofoni e vibrafoni che insieme a quelli elettrici producono melodie e musicalità davvero speciali. A esplicitare come non vi possa essere modernità senza radici poiché –anche- la musica nasce dal grande cuore dell’Africa. Asa, menestrello del/nel mondo.