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venerdì 11 marzo 2016

Dopo il caso Regeni in Egitto,l’uccisione dei tecnici italiani in Libia:un attacco all’Italia? (dal sito pennabiro.it)


dal sito pennabiro.it
Dopo il caso Regeni in Egitto,l’uccisione dei tecnici italiani in Libia:un attacco all’Italia?



Il cadavere del giovane ricercatore fu trovato nel momento stesso in cui il ministro Guidi stava per firmare una serie di contratti in una riunione con il mondo industriale egiziano,riunione poi sospesa.
Adesso due dei 4 tecnici iitaliani rapiti in Libia vengono uccisi molto probabilmente durante una operazione che riguardava la loro liberazione.Egitto e Libia,due paesi con cui l’Italia ha importanti rapporti commerciali ,è lecito chiedersi:sono due azioni collegate il cui obiettivo è colpire gli interessi del nostro paese?
A suo tempo il governo Berlusconi concluse un trattato di amicizia con la Libia ,in un disegno di politica internazionale che vedeva anche la Russia come partner importante.Sappiamo come è andata a finire,Gheddafi fu barbaramente eliminato,il trattato di amicizia Italia-Libia calpestato,dopodichè sono venute le sanzioni alla Russia che hanno penalizzato fortemente l’export italiano.Oggi si chiede all’Italia di inviare soldati in Libia,in una intervista  del 4 marzo sul Corriere della Sera l’ambasciatore americano
dà anche un numero preciso,5000 uomini.Nella stessa intervista viene detto che gli USA hanno aspettato troppo per completare i lavori in Sicilia del MUOS ,il nuovo centro di controllo militare globale e l’ambasciatore non spende una parola autocritica sulle intercettazoni sugli uomini di governo italiani.Viene da pensare:ma chi comanda in Italia?
Da qualche parte viene criticata la cosiddetta prudenza di Renzi di fronte alle richieste di intervento militare in Siria e Libia,così come la dichiarazione di concedere l’uso della base militare di Sigonella per inviare droni armati in Libia,volta per volta dopo valutazione del governo italiano.Vale la pena ricordare che la base di Sigonella fu già al centro di un conflitto tra governo italiano e americano ai tempi di Craxi.A suo tempo,nel 2014 e 2015 , Renzi aveva sollecitato un intervento militare in Libia,ci ha ripensato?Se sì lo dica chiaramente al paese.Del resto se negli USA il prossimo presidente eletto fosse favorevole ad un totale disimpegno dal Mediterraneo e l’appoggio attuale ad una coalizione guidata dall’Italia venisse meno il nostro governo si troverebbe con il cerino acceso in mano.
Da un lato poi si propone all’Italia la ”direzione”delle operazioni in Libia.Dall’altra i fatti di Regeni e dei due tecnici uccisi possono anche essere letti come una operazione per coinvolgere l’opinione pubblica italiana che i sondaggi danno contraria per l’81% alla guerra in Libia e spingere il governo ad intervenire.
Occorre anche ricordare che ai tempi dell’intervento militare che portò all’eliminazione fisica di Gheddafi e del suo governo,ci fu un contrasto tra il presidente della Repubblica Napolitano che secondo la Costituzione riveste il compito di capo delle forze armate e il presidente del Consiglio Berlusconi .Qualcosa del genere si ripropone tra Mattarella,di recente in visita negli USA e Renzi?
E corrisponde al vero che esistono da tempo preparativi di guerra all’insaputa del parlamento e dei cittadini italiani?E chi li avrebbe promossi?
Una cosa è certa ,il caos che esiste nel NordAfrica e in MedioOriente è responsabilità precisa della politica imperialista degli USA e dei paesi europei che li hanno seguiti.
Purtroppo la mentalità e gli interessi coloniali fanno ancora parte della politica dei maggiori paesi europei,ognuno cerca di favorire le proprie compagnie petrolifere e infatti la portaerei De Gaulle è già posizionata davanti alle coste libiche, l’amministrazione americana si serve di questo e gioca su questa rivalità.
Occorre naturalmente un pretesto a tutto questo,se con Gheddafi o Saddam il pretesto era perché venivano definiti dittatori da quegli stessi governanti occidentali che fino a poco tempo prima li accoglievano come amici,adesso il pretesto è il pericolo dello stato islamico.
La posizione del nostro governo di intervenire soltanto dopo che sarà stata presa una decisione dell’ONU non regge ed è da respingere proprio perché negli anni recenti il consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha avallato invasioni camuffate da interventi umanitari.L’ONU ha dei padroni e anche in passato è prevalsa la loro volontà per giustificare aggressioni ed invasioni militari.
Occorre invece ribadire con forza che c’è un un principio di non ingerenza nei rapporti tra paesi anche se l’ONU ha fatto finta spesso di dimenticarsene ed è a quel principio che occorre richiamare l’opinione pubblica e quanti intendono manifestare contro la guerra.Quel principio è stato spesso calpestato e in questo vi è anche la responsabilità dei dirigenti delle cosiddette sinistre italiane ,francesi,inglesi e altre che a suo tempo hanno sostenuto la guerra in Serbia.Eppure i responsabili di tutte le guerre che hanno causato e causano morti e distruzioni ,dall’Iraq alla Siria,sono liberi e tranquilli.
Il popolo italiano non deve cadere in questa trappola dell’intervento in Libia ma chiedere una presa di posizione del governo italiano a favore di una soluzione pacifica .Ma non soltanto il popolo italiano non deve cadere nella trappola,l’intera Europa non deve caderci,sarebbe la fine di un possibile progetto politico che rappresenta le aspirazioni dei popoli europei che prevede il dialogo e lo scambio con l’altra sponda del Mediterraneo,non la guerra.Per questo siamo dell’opinione che occorra una pressione popolare in vario modo sul Parlamento europeo pechè vieti espressamente la partecipazione di qualsiasi paese europeo all’intervento militare in Libia.L’Europa ha una responsabilità storica per l’arretratezza dell’Africa e del medio Oriente,invece di spendere soldi in portaerei o per tenere i profughi nei campi vedi i 3 miliardi di euro dati alla Turchia,dovrebbe pensare seriamente ad un piano di sostegno economico senza nessun condizionamento o pretesa coloniale.
Dove ci porterebbe un nuovo intervento coloniale in Libia visti i risultati del precedente intervento ?Nessuno lo sa ma una cosa è certa e cioè che aumenterebbe ancora di più nel mondo, il caos ,il terrorismo e il fenomeno dell’immigrazione.
sic

giovedì 21 agosto 2014

Quattro anni sprecati, di Luciano Gallino

Quattro anni sprecati, di Luciano Gallino (da la Repubblica del 19 agosto 2014)
“I governi Berlusconi, Monti, Letta, Renzi saranno ricordati come quelli che hanno dimostrato la maggiore incapacità nel governare l’economia in un periodo di crisi. I dati sono impietosi. Dal 2009 ad oggi il Pil è calato di dieci punti. Qualcosa come 160 miliardi sottratti ogni anno all’economia. L’industria ha perso un quarto della sua capacità produttiva. La produzione di autovetture sul territorio nazionale è diminuita del 65 per cento. L’indicatore più scandaloso dello stato dell’economia, quello della disoccupazione, insieme con quelli relativi alla immensa diffusione del lavoro precario, ha raggiunto livelli mai visti. La scuola e l’università sono in condizioni vergognose. Sei milioni di italiani vivono sotto la soglia della povertà assoluta, il che significa che non sono in grado di acquistare nemmeno i beni e i servizi di base necessari per una vita dignitosa. Il rapporto debito pubblico-Pil sta viaggiando verso il 140 per cento, visto che il primo ha superato i 2100 miliardi. Questo fa apparire i ministri che si rallegrano perché nel corso dell’anno saranno di sicuro trovati tre o quattro miliardi per ridurre il debito dei tristi buontemponi. Ultimo tocco per completare il quadro del disastro, l’Italia sarà l’unico Paese al mondo in cui la compagnia di bandiera ha i colori nazionali dipinti sulle ali, ma chi la comanda è un partner straniero.
Si possono formulare varie ipotesi circa le origini del disastro. La più nota è quella avanzata da centinaia di economisti europei e americani sin dai primi anni del decennio. È un grave errore, essi insistono, prescrivere al cavallo maggiori dosi della stessa medicina quando è evidente che ad ogni dose il cavallo peggiora. La medicina è quella che si compendia nelle politiche di austerità, richieste da Bruxelles e praticate con particolare ottusità dai governi italiani. Essa richiede che si debba tagliare anzitutto la spesa pubblica: in fondo, a che cosa servono le maestre d’asilo, i pompieri, le infermiere, i ricercatori universitari? In secondo luogo bisogna privatizzare il maggior numero possibile di beni pubblici. Il privato, dicono i medici dell’austerità, è sempre in grado di gestire qualsiasi attività con superiore efficienza: vedi, per dire, i casi Ilva, Alitalia, Telecom. Infine è necessario comprimere all’osso il costo del lavoro, rendendo licenziabile su due piedi qualunque tipo di lavoratore. I disoccupati in fila ai cancelli sono molto più disposti ad accettare qualsiasi lavoro, a qualsiasi condizione, se sanno che al minimo sgarro dalla disciplina aziendale saranno buttati fuori come stracci. Altro che articolo 18.
Nell’insieme la diagnosi appare convincente. Le politiche di austerità sono un distillato delle teorie economiche neoliberali, una macchina concettuale tecnicamente agguerrita quanto politicamente misera, elaborata dagli anni 80 in poi per dimostrare che la democrazia non è che una funzione dell’economia. La prima deve essere limitata onde assicurare la massima espansione della libertà di mercato (prima di Draghi, lo hanno detto senza batter ciglio Lagarde, Merkel e perfino una grande banca, J. P. Morgan). La mente e la prassi di tutto il personale che ha concorso a governare l’economia italiana negli ultimi anni è dominata sino al midollo da questa sofisticata quanto grossolana ideologia; non c’è quindi da stupirsi che essa abbia condotto il Paese al disastro.
Domanda: come mai, posto che tutti i governanti europei decantano e praticano i vantaggi delle politiche dell’austerità, molti dei loro Paesi se la passano meglio dell’Italia? La risposta è semplice: perché al di sotto delle coperture ideologiche che adottano in pubblico, le iniziative che essi prendono derivano piuttosto da una analisi spregiudicata delle reali origini della crisi nella Ue. In Italia, non si è mai sentito un membro dei quattro “governi del disastro” proporre qualcosa di simile ad una tale analisi, con la conseguenza che oltre a praticare ciecamente le politiche neoliberali, i nostri governanti ci credono pure. Facendo di loro il personale politico più incompetente della Ue.
Si prenda il caso Germania; non a caso, perché la Germania è al tempo stesso il maggior peccatore economico d’Europa (copyright Flassbeck), e quello cui è meglio riuscito a far apparire virtuoso se stesso e peccatori tutti gli altri. Il motivo del successo tedesco è noto: un’eccedenza dell’export sull’import che col tempo ha toccato i 200 miliardi l’anno. Poco meno di due terzi di tale somma è dovuta ad acquisti da parte di altri paese Ue. Prodigio della tecnologia tedesca? Nemmeno per sogno. Prodigio, piuttosto, della formula “vai in malora te e il tuo vicino” (copyright Lapavitsas) ferreamente applicata dalla Germania a tutti i Paesi Ue. Grazie alle “riforme” dell’Agenda 2010, dalla fine degli anni 90 i lavoratori tedeschi non hanno visto un euro in più affluire ai loro salari; il considerevole aumento complessivo della produttività verificatosi nello stesso periodo si è tradotto per intero nella riduzione dei prezzi all’esportazione. In un regime di cambi fissi come quello imposto dall’euro, questo meccanismo ha trasformato la Germania in un Paese a forte surplus delle partite correnti e tutti gli altri Paesi dell’Eurozona in Paesi deficitari.
Ha voglia la Cancelliera Merkel di decantare le virtù della “casalinga dello Schlewig-Holstein”, che spende soltanto quel che incassa e non fa mai debiti. La virtù vera dei tedeschi è consistita, comprimendo i salari interni per favorire le esportazioni, nel diventare l’altezzoso creditore d’Europa, mettendo in fila tutti gli altri Paesi come debitori spreconi. È vero che negli incontri ufficiali è giocoforza che ognuno parli la neolingua del regime neoliberale che domina la Ue. Invece negli incontri dove si decidono le cose serie bisognerebbe chiedere ai governanti tedeschi che anziché della favola della casalinga si discuta magari delle politiche del lavoro — quelle tedesche — che hanno disastrato la Ue. Potrebbe essere utile quanto meno per condurre trattative per noi meno jugulatorie. Tuttavia per fare ciò bisogna avere una nozione realistica della crisi, e non è chiaro se esiste un solo governante italiano che la possegga.

Nei discorsi con cui verso metà agosto Matteo Renzi ha occupato gran parte delle reti tv, si è profuso in richiami alla necessità di guardare con coraggio alla crisi, di non lasciarsi prendere dalla sfiducia, di contare sulle risorse profonde del paese. Sarà un caso, o uno spin doctor un po’ più colto, ma questi accorati richiami alla fibra morale dei cittadini ricordano il discorso inaugurale con cui Franklin D. Roosevelt inaugurò la sua presidenza nel marzo 1933. In Usa le conseguenze furono straordinarie. Ma non soltanto perché i cittadini furono rianimati di colpo dalle parole del presidente. Bensì perché nel giro di poche settimane Roosevelt creò tre agenzie per l’occupazione che in pochi mesi diedero un lavoro a quattro milioni di disoccupati, e attuò la più grande ed efficace riforma del sistema bancario che si sia mai vista in Occidente, la legge Glass-Steagall. Ci faccia vedere qualcosa di simile, Matteo Renzi, in tempi analoghi, e cominceremo a pensare che il suo governo potrebbe anche risultare meno disastroso di quanto oggi non sembri.”

(da La Repubblica, 19 agosto 2014)