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lunedì 18 luglio 2016

TURCHIA, sul colpo di stato militare : La dichiarazione dell'Unione dei Lavoratori Industria alimentare della Turchia (GIDA-IS)


sul colpo di stato militare in Turchia riceviamo, tramite la Rete Sindacale Internazionale di Solidarietà e Lotta, da  Bilge Coban, Direttore dell'International Relations Department del sindacato Union of Food Industry Workers of Turkey(GIDA-IS), Member of the Confederation of Progressive Trade Unions of Turkey(DISK) , e pubblichiamo la

Dichiarazione dell'Unione dei Lavoratori dell'Industria alimentare della Turchia (GIDA-IS) sul colpo di stato militare in Turchia







Tarih:18.07.2016

La soluzione è la protezione dei diritti democratici e delle libertà politiche!
La soluzione è la lotta unitaria di tutte le masse oppresse e proletarie!
Con tutti i colpi di stato militari, la Turchia ha sperimentato la restrizione della libertà e la sospensione dei diritti fondamentali della classe operaia. Sospensione della Costituzione, lo smantellamento dello stato di diritto, la sospensione delle libertà non può essere accettabile, indipendentemente da quale tipo di giunta e mentalità autoritaria provengano. Perché sappiamo che tentativi di golpe militari non sono e non potrebbe mai essere l'antidoto alla politica di un uomo, un partito, perseguita oggi da Tayyip Erdoğan e dal governo dell'AKP.
Inoltre, tali tentativi saranno utilizzati come base per una più rapida e più violenta attuazione di queste politiche.
Erdoğan e il governo dell'AKP, chiamando i loro sostenitori per le strade "contro i congiurati", cercheranno di utilizzare questa situazione per porre riparo alla loro reputazione scossa - il risultato di politiche interne ed esterne opportunistiche e incoerenti - e per raggiungere le loro mira reazionarie e fasciste .
E 'chiaro che tutti i cittadini di Turchia delle diverse nazionalità e credenze, messi in una posizione tra l'incudine e il martello, non possono essere sottoposti ad una scelta solo tra un colpo di stato militare e una dittatura di un uomo, di un partito unico.
L'unica scelta e il percorso per la liberazione del popolo è la creazione di una Turchia che sia veramente laica e democratica. La via d'uscita da questo assedio antidemocratico è la salvaguardia dei diritti democratici e delle libertà politiche. La soluzione è la lotta per la democrazia di un popolo.

Seyit Aslan, 
Presidente 
DISK-GIDA-IS (Union of Food Industry Workers of Turkey)

lunedì 2 maggio 2016

I possibili rischi della chiusura delle frontiere in Europa (da pennabiro.it)



I possibili rischi della chiusura delle frontiere in Europa

da/www.pennabiro.it/


Le stragi di Bruxelles e Parigi, sia per la gravità delle perdite umane che per l’impatto emotivo e la minaccia alla sicurezza interna, corrispondono a un 11 settembre per l’Europa. 
Mentre negli USA furono identificati subito gli autori, qui è più difficile capire chi sono perché si tratta di cittadini europei più che di infiltrati, non migranti attuali ma immigrati di seconda o terza generazione che non riescono a inserirsi bene nel tessuto sociale e soddisfare le proprie aspirazioni, quindi sono dei giovani frustrati e arrabbiati, facile preda del fondamentalismo, e si rifugiano in quartieri ghetto che reagiscono contro la polizia perché si sentono bersagliati e discriminati e più vicini a quei giovani che allo stato.
In questi ultimi sei mesi è cresciuta una grandiosa immigrazione dal Mediterraneo orientale, dalla Turchia in Grecia, Macedonia, e su fino alla Germania, mentre continua l’afflusso delle barche verso l’Italia. Sono intere popolazioni che si vogliono spostare dall’Asia (Medio Oriente ma anche India, Pakistan) e dall’Africa, non solo per le guerre e il terrorismo ma per la ricerca di un lavoro e di un futuro.
In Iraq e Afghanistan continuano le decennali guerre, e quindi gli esodi. La guerra in Siria ha visto un pesante intervento aereo della Russia, e un improvviso ritiro (ufficiale, non reale), che nonostante le apparenze erano di fatto concordati con gli USA, e che hanno aggravato la situazione della popolazione bombardata e affamata accrescendone la fuga in massa.
L’Africa è un continente destinato a grande crescita di popolazione, nonostante epidemie, carestie -in Etiopia, 90 milioni di abitanti, imperversa la più grave degli ultimi 30 anni – e guerre (Libia, sud-Sudan, Somalia ecc.) create dalle ingerenze, anche armate, del colonialismo stimolate dall’interventismo della Clinton; tutto questo rafforza la possibile immigrazione di milioni di persone verso l’Europa.
Questo stato di cose influenza l’Unione Europea stessa: in un primo momento ci sono state dichiarazioni di apertura e solidarietà, ma ormai è chiaro, al di là delle belle parole, che l’Europa centrale non ha intenzione di assorbire un flusso così pesante. La Gran Bretagna rifiuta di accogliere 3.000 minori siriani da Calais, la Norvegia offre denaro a chi accetta di andarsene, l’Austria dà spazio a una posizione anti-immigrati.
L’Europa è in grado di sopportare e gestire questa immigrazione di massa e incontrollata che affolla i centri d’accoglienza e i ghetti autocostruiti in Spagna, Italia, Grecia e Turchia? Certo l’arrivo in tempi brevi di grandi masse di immigrati metterebbe ad ancor più dura prova sia le possibilità di lavoro sia le tutele sociali in Unione Europea, già colpite dalla crisi economica internazionale.
I capitalisti tedeschi per portare avanti l’espansione a est non hanno bisogno di milioni di immigrati (nonostante le promesse della Merkel) – si dice ne abbiano assorbito un milione, per ora scelgono solo siriani istruiti – e potrebbero provocare un cambiamento di politica.
La Francia è da tempo interlocutore politico della Germania per allontanare lo spettro dell’ostilità franco-tedesca che ha provocato tutte le guerre europee degli ultimi due secoli, e oggi deve gestire il malessere dei suoi immigrati storici, la repressione delle cellule fondamentaliste e il ghetto di Calais, ma non subisce importanti flussi attuali.
Gli immigrati che arrivano in Spagna, Italia, Grecia rischiano invece di restare in gran parte in questi paesi data la crescente difficoltà frapposta dagli altri stati europei ad accoglierli, né si prevedono grandi aiuti da parte dell’UE (la cui ambiguità al riguardo è sempre più evidente) per sostenere la gestione di questi flussi.
Questi paesi, già preda della crisi economica e della mancanza di lavoro, sono lasciati da soli, in una situazione molto difficile sia dal punto di vista politico che economico e culturale: si tratta di soccorrere e sfamare i migranti – ma anche integrarli se la loro permanenza si protrae, e ciò è tanto più necessario oggi per non offrire terreno al fondamentalismo – e di subire contraccolpi sul turismo e possibili cali di investimenti. L’Italia, la Spagna e la Grecia rischiano di diventare paesi costretti ad assorbire crescenti flussi di popolazione facendo da cuscinetto all’Europa centrale (Francia, Germania, Austria). Si creerebbe una piccola Europa più sicura e più stabile economicamente all’interno della UE: l’Europa a due velocità che è implicita nell’attuale polemica Draghi-Merkel.
Un possibile esito di questa crisi immigratoria con la chiusura delle frontiere sarebbe la spaccatura di fatto della UE: quando i confini d’Europa a sud vengono spostati dal Mediterraneo a Idomeni e al Brennero, nonostante Frontex, la proposta di una guardia costiera europea e le quote teoricamente concordate, si arriva a questo.
A chi gioverebbe questa spaccatura? Obama spinge per l’approvazione del Trattato Transatlantico (TTIP e TISA) ed esorta i britannici a restare nella UE, per ancorare l’Europa centrale all’Occidente. L’Italia interessa per la sua posizione strategica gli USA e Israele, e finirebbe per dover rafforzare i suoi legami con essi; già ora viene spinta a porsi come capofila dell’intervento (per ora solo politico) in Libia. Le guerre aperte nel Mediterraneo diventano sempre più un problema solo per l’Europa mediterranea e non per l’Europa intera.
Se invece la UE mantiene la sua volontà di essere un interlocutore economico, sociale e culturale degli altri grandi, USA, Russia, Cina, deve diventare anche un vero interlocutore politico. Da una parte deve rafforzare la sua unità interna, eliminando i blocchi e le barriere estemporanee fra gli stati, garantendo sostegno ai paesi di arrivo per organizzare la sosta e l’identificazione dei migranti e attuando quote realistiche paese per paese (senza lasciare i più derelitti ai paesi più deboli). Dall’altra parte deve fare accordi con altri paesi ospitanti (Turchia, Libano, Giordania) e con quelli di partenza,cioè finirla una volta per tutte con le ingerenze coloniali cui viene spinta dagli USA, lavorare per la fine dei conflitti e porsi da pari a pari con i paesi del Medio Oriente e dell’Africa per contribuire alla loro conquista dell’autosufficienza alimentare e produttiva.
Sic

giovedì 3 marzo 2016

da Atene: MONAETHPAKI “Rebeletiko” (recensione musicale a cura di Amerigo Sallusti)

recensione musicale a cura di Amerigo Sallusti


MONAETHPAKI “Rebeletiko” 2015, autoprodotto.


Quando nel 1928 Michalis Patrinos incise Misirlou non poteva certo immaginare che un giorno sarebbe divenuto globalmente famoso grazie al regista Quentin Tarantino che la inserì nella colonna sonora del film Pulp Fiction. Per suonare il rebetiko viene utilizzato il bouzouki lo strumento musicale greco più famoso al mondo e, in realtà, molti rebeti usano il baglama, un piccolo bouzouki lungo circa 50-60 cm, più comodo da portare in giro.
Le origini di questi strumenti si perdono nell’antichità insieme agli altri che comunemente si usano quali la lira, il clarinetto, il violino, il santouri e il kanonaki (due particolari strumenti a corda) e poi l’oud e lo tzouras (simili al bouzouki) ed infine il tumbeleki (una specie di tamburo).
Un uso corale
  di strumenti per una musica appellata rebetiko che in turco significa fuorilegge. Perché è giusto ricordare che tutto ciò nasce “a causa” della grande sconfitta greca nel 1923 ad opera della confinante Turchia che a seguito di tale conflitto acquisì una serie di territori da tempo immemore facenti parte della Grecia continentale; in tale frangente oltre un milione di greci dovette fuggire così come dovettero fare altrettanti turchi in senso inverso per scampare alle persecuzioni che stavano esplodendo nei loro confronti.
I
Monaethpaki gruppo di giovani ateniesi che si è autoprodotto il proprio cd ci parlano di queste tematiche nelle loro canzoni: guerre, povertà, migrazioni, sofferenze dei popoli. Il rebetiko si sviluppa su più fasi temporali peculiari ma tutte scaturiscono egualmente nelle grandi periferie delle città portuali, tra i marinai, i baraccati, gli emarginati, i disoccupati, simile in ciò al fado, al tango…
Questo genere, questa attitudine musicale infatti ritorna sempre (musicalmente) alle origini quando gli “avvenimenti umani” mutano in sommovimenti, peregrinazioni di massa e non a caso anche per i
Monaethpaki il percorso è lo stesso; nascono nella temperie sociale di questi ultimi anni, di una Grecia scossa e ribollente per le tempeste economico-finanziarie mondiali e nei loro testi, nelle loro musiche si odono, si percepiscono sentimenti divergenti quali le cupe ombre del presente e lucide utopie di un cambiamento possibile. 
Con un sottofondo costante di litanie arabe e gitane a rappresentare musicalmente il crogiuolo rappresentato da una terra di confine come quella “attualmente” divisa da confini “nominati” greco-turchi. Strumenti tradizionali, vocalizzi attuali, ispirazioni antiche e speranze futuribili attraversano i momenti più lenti dei brani che di colpo e frequentemente vengono scossi da turbinii, quasi a rappresentare in note la realtà materiale della loro terra, quella Grecia che ha dato vita alla filosofia, summa delle conoscenze, ora messa all’angolo da un manipolo di tecnocrati e speculatori di ogni risma. La miglior risposta è questa dei Monaethapaki: “Sarà una musica che vi seppellirà” per parafrasare un vecchio slogan di qualche decennio fa.