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venerdì 4 marzo 2016

Barclays, lo sciopero dei dipendenti: "Vogliamo un accordo per tutti" (da IL GIORNO)


da IL GIORNO : http://www.ilgiorno.it/milano/barclays-banca-1.1943554Barclays, lo sciopero dei dipendenti: "Vogliamo un accordo per tutti"

sabato 6 febbraio 2016

Il petrolio e la crisi prossima ventura, una interessante intervista al prof.Giuseppe Sacco,Ordinario di Relazioni e Sistemi economici Internazionali (da pennabiro,it)

da http://www.pennabiro.it/
Il petrolio e la crisi prossima ventura



Ci è pervenuta una interessante intervista al prof.Giuseppe Sacco*,Ordinario di Relazioni e Sistemi economici Internazionali,sul tema del petrolio,in particolare sui motivi che stanno alla base della fortissima discesa del costo del barile.L’intervista si trova sul sito “Critique of the new century”.


Giambattista Pepi intervista Giuseppe Sacco


 – Le quotazioni del petrolio sono in caduta libera. Per la prima volta dal 2004, ha rotto la soglia psicologica dei 30 dollari. Perché declina? 
Giuseppe Sacco – Il prezzo del petrolio scende per un forte calo della domanda, dovuto soprattutto al rallentamento dell’economia cinese.
Nel 2006-08, alla crisi della domanda Usa, che aveva creato milioni di disoccupati in Cina, Pechino aveva reagito, per creare occupazione, spostando il ruolo di motore dell’economia dal settore manifatturiero orientato alle esportazioni a quello dei lavori pubblici, grande divoratore di cemento e di acciaio, per cui si richiedono enormi quantità di energia. Anni di crescita che hanno sostenuto la domanda mondiale ed i prezzi di tutte le materie prime. Oggi, la fine di questa fase – dato che l’utilità di questi investimenti è andata via via decrescendo – le spinge invece al ribasso, in primis il petrolio. Anche perché l’Arabia Saudita e gli altri produttori non hanno in alcuna modo ridotto l’offerta.
Q – Secondo le banche d’affari Morgan Stanley, Goldman Sachs e Citigroup, i prezzi potrebbero andare a 20 dollari, anche a causa del dollaro più forte e dell’offerta di shale gas, shale oil e alle estrazioni da acque profonde.
Giuseppe Sacco – E’ possibile. Con le nuove fonti di idrocarburi, i soli USA hanno quasi all’improvviso aggiunto alla produzione l’equivalente di un milione di barili di petrolio al giorno, e sono diventati esportatori. Basta pensare che nei giorni scorsi, in Louisiana, è entrato in funzione un impianto che inizialmente era stato previsto per la ri-gassificazione di gas liquefatto importato. Solo che, a metà della costruzione, si è dovuta cambiarne la destinazione facendone un impianto di liquefazione per l’esportazione.
Naturalmente, basterebbe che i Sauditi riducessero la loro produzione da 10 a 8 milioni di barili al giorno per avere benefici effetti sulle quotazioni. Ma non lo fanno, perché vogliono colpire da un lato l’industria dell shale gas proprio nel momento più delicato del suo sviluppo, e dall’altro la Russia. Non solo perché schierata sul fronte opposto nella guerra mediorientale, ma anche per mere ragioni di concorrenza. La Russia è l’unico Paese che allo stato attuale può estrarre più del regno Saudita, ad un costo di produzione, però, molto più caro. A prezzi molto bassi, il danno è per Mosca molto, ma molto, più grave che non quello subìto da Riyadh.
E non è tutto. I prezzi bassi possono far subire al petrolio russo anche un danno a lungo termine, e in parte irreversibile. I pozzi della Russia sono quasi tutti zone dove il sottosuolo è gelato in permanenza. Il petrolio fluisce comunque, perché esce caldo dalle profondità. Ma se il flusso si interrompe, gli impianti possono venire danneggiati. Mosca perciò deve continuare ad estrarre anche a prezzi stracciati, e già in passato è stato costretta a creare in superficie delle vere proprie discariche di greggio.
Oltretutto, a rendere verosimile l’ipotesi che il prezzo possa ancora scendere, c’è il fatto che, con una produzione mondiale che supera i consumi di circa due milioni di barili il giorno, non si sa più dove stoccare il petrolio in eccesso. E molte petroliere – rimaste inutilizzate per il calo dei traffici e parcheggiate in luoghi come i fiordi della Norvegia – vengono usate come serbatoi galleggianti.
Q – Quali sono le conseguenze per l’economia mondiale dall’erosione dei prezzi del petrolio? Potrebbe essere il petrolio a fare da innesco ad una crisi economica internazionale?
Giuseppe Sacco – In teoria, la caduta del prezzo del petrolio dovrebbe essere un fattore di crescita delle economie avanzate industriali, se portasse a prezzi più bassi per benzina ed elettricità. In pratica, quota 30 dollari è il segno di una crisi che è già in atto, e simile a quella del 2008.
Allora la crisi nasceva dal trasferimento verso paesi a basso costo del lavoro di moltissime attività manifatturiere, i cui prodotti venivano ri-esportati verso quegli stessi paesi dove questo trasferimento aveva distrutto milioni di posti di lavoro ben pagati. E’ vero che i bassi salari dei “nuovi operai” hanno garantito molti anni di crescita senza inflazione, ma hanno anche creato uno squilibrio che col passare del tempo si è rivelato insostenibile. Come potevano le famiglie dei “vecchi operai”, di quegli stessi che avevano perso il lavoro continuare a comprare i prodotti cinesi? Lo hanno fatto indebitandosi fino al punto da non poter più onorare le loro carte di credito e i mutui delle loro case, tanto da gettare le banche in una crisi così grave da minacciare il sistema finanziario globale.
Oggi il problema si ripropone, solo che a minacciare l’equilibrio sono le banche che hanno finanziato investimenti le cui prospettive apparivano eccellenti quando il petrolio era sopra i cento dollari. E ad esse si uniscono le banche cinesi che hanno finanziato le colossali opere pubbliche decise da Pechino per evitare la disoccupazione di massa.
Q – Quindi, allo stato attuale dei prezzi del petrolio, ci sono squilibri economici nei paesi produttori e ciò può ripercuotersi sulla crescita mondiale?
Giuseppe Sacco – Indubbiamente! E ad essere messi in crisi non sono solo i paesi produttori ex- “emergenti”. Ciò che tira già le Borse è che, soprattutto in America, molte aziende che hanno investito nei nuovi settori energetici, come il fracking, stanno fallendo e fragilizzando le banche che le hanno finanziate.
Tutto ciò si aggiunge ai problemi delle banche cinesi. Per fronteggiare la crisi culminata nel 2008, il Governo di Pechino impose allora alle banche – di proprietà statale – di finanziare qualsiasi progetto edilizio o infrastrutturale. Ora, alcuni di questi progetti – come le metropolitane o certe
ferrovie ad alta velocità – sono utilissimi, e produrranno ricchezza per decenni. Ma altri – proposti
da imprenditori improvvisati per sfruttare questa ghiotta occasione – erano campati per aria, e fanno tramare le banche.
Non c’è solo l’esempio di Ordos, nella Mongolia cinese: una città veramente bella, costruita per un milione di abitanti, che è completamente vuota. Persino nel centro di Shanghai, su Nanjing Lu, qualche lussuosissimo centro commerciale è parzialmente abbandonato, e neanche la parte utilizzata sembra produrre alcun reddito. Ma tutta la Cina è piena di cattedrali nel deserto: enormi stadi in città in cui non esiste le squadra, oppure giganteschi cantieri senza operai, dove la ruggine sui ferri che sporgono dal cemento mostra che i lavori sono interrotti da lungo tempo.
Q – La prossima crisi potrebbe muovere dall’Oriente, dalla Cina?
Giuseppe Sacco – La Cina, anche se è un paese piuttosto ben governato, fa più paura per via delle sue dimensioni. Anche un piccolo errore può avere effetti giganteschi. Ma la minaccia viene da tutti i Paesi ex-emergenti, come il Brasile, verso cui le grandi banche internazionali hanno crediti molto pericolanti. Poi c’è il rischio Russia, nel cui export il petrolio ha una quota enorme, e che per questo motivo è già fallita in passato, quando il prezzo del greggio scese a 10 dollari.
– See more at: http://www.beyondgeopolitics.com/1671-2/#sthash.e6Rv4Rsk.dpuf
* il Prof. Giuseppe SACCO è stato tra gli importanti Relatori al Convegno sul tema "Un progetto per rispondere al declino industriale,alla crisi occupazionale,all'attacco al mondo 
del lavoro" che abbiamo organizzato come Coordinamento Milanese di Solidarietà "DALLA PARTE DEI LAVORATORI" a Milano il 23 febbraio 2006.
 ATTI CONVEGNO UN PROGETTO PER USCIRE pagg 44-49 relazione Prof. Giuseppe Sacco
clicca sull'immagine qui sopra per accedere alla Relazione del Prof. Sacco


Giuseppe SACCO - Note biografiche (da http://docenti.luiss.it/gsacco/)
Nato a Napoli il 1/08/’38. Laurea in Scienze Politiche presso l’Università di Napoli nel 1961.
Curriculum
Professore Ordinario di Politica Economica Internazionale, e Professore di Movimenti di Popolazione e Relazioni Internazionali presso la Facoltà di Scienze Politiche della Luiss Guido Carli.
E’ stato Professore di Relazioni e sistemi Economici Internazionali, e di Relazioni internazionali presso la stessa Università.
In precedenza, Professore presso il “Cesare Alfieri” di Firenze, presso l’Institut d’Etudes Politiques de Paris, e presso le Università di Princeton e di San Francisco, California.
E’ Editor dello The European Journal of International Affairs. Già Capo Divisione all’Oecd di Parigi, a partire dal 1971, ha lavorato come consulente in più di 50 Paesi, sia per organizzazioni internazionali (Onu, Cee, Oecd, Banca Africana di Sviluppo, Banca Asiatica di Sviluppo) che per moltissime compagnie italiane e straniere.
È stato Executive Vice-President della Saltec-Lavalin (Rome-Montreal), General Manager della Erasmus Press (Rome-Munich-Washington).
Pubblicazioni recenti
– Petrolio e Potere Mondiale, forthcoming.
– Critica del nuovo secolo, Luiss University Press, 2005.
– Que se vayan: America Latina contesa, Sankara, Roma, 2003

martedì 13 gennaio 2015

30 GENNAIO 2015 : BANCARI IN SCIOPERO! quattro grandi manifestazioni, di lavoratrici e lavoratori a Milano, Ravenna, Roma e Palermo.



30 GENNAIO 2015
BANCARI IN SCIOPERO!
Sciopero Generale di tutta la categoria per l’intera giornata.
A sostegno del diritto della categoria al rinnovo del CCNL e contro la decisione unilaterale di ABI di dare disdetta e successiva disapplicazione dei contratti collettivi di lavoro dal 1 aprile 2015.
• Perché il contratto nazionale deve rimanere primo elemento di diritto, non derogabile, a difesa dell’occupazione e dell’Area Contrattuale.
• Perché il bancario non è un numero senza volto, ha una storia, 
una carriera, una professionalità e il diritto di difendere il potere d’acquisto dei salari e la dignità del lavoro.
• Perché vogliamo rimanere bancari al servizio del Paese, contro
l’egoismo dei banchieri al fianco dei clienti e dei risparmiatori.
Nella giornata di venerdì 30 gennaio si terranno quattro grandi manifestazioni, 
di lavoratrici e lavoratori a Milano, Ravenna, Roma e Palermo.
Scioperiamo compatti per respingere l’arroganza e l’egoismo dei banchieri che ci vogliono riportare indietro nel tempo.
12 gennaio 2015
Le Segreterie Nazionali

venerdì 9 gennaio 2015

DEBITI e DERIVATI... Warren Buffett "armi finanziarie di distruzione di massa”

riceviamo da Carmine Curcio, Macchinista FS, e pubblichiamo :
Debiti e derivati
..Warren Buffett "armi finanziarie di distruzione di massa” 
In Italia la stampa, politici e associazioni ci assillano sulla storiella dei bamboccioni, falsi invalidi, immigrati, amministratori che sperperano denaro pubblico, troppe province, impiegati statali fannulloni, ..ebbene tutto questo ha creato il debito pubblico che vogliono far pagare ai cittadini togliendogli diritti e pensioni? Per convincerci dicono anche che occorrono riforme, meno Welfare e più Jobs Act, più flessibilità, competitività e privatizzazioni cose che fino ad oggi sono serviti soltanto ad aumentare debito, disoccupazione, e smantellare la Res Pubblica(..fannullona e sprecona?).
In Islanda, però, non vi sono lavoratori che fanno i loro comodi o la storiella dei bamboccioni, falsi invalidi, immigrati, politici che rubano, troppe province, impiegati fannulloni ecc.. eppure nel 2009 hanno avuto un debito enorme ! Tre banche principali, crollarono in un arco di tempo in  meno di una settimana di conseguenza, l'Islanda dovette affrontare una grave recessione(vedi comunicato stampa 08/296  FMI ),  per fortuna l’Islanda ha risorse naturali e geotermica energia pulita.
Allora a questo punto anche se fossimo tutti dei <Santi> in Italia, tutti pagassero le tasse, emettessero le fatture (dottori, avvocati e meccanici) saremmo comunque peggio degli Islandesi (e non solo) con debiti enormi e politici pronti con riforme gravose capaci di sottrarci anche i beni immobili guadagnati negli anni passati dai nostri padri !
Non è una mia analisi frettolosa ma un problema così semplice (il sistema-debito messo in atto) che sembra normale subirlo.
Secondo la Banca dei regolamenti internazionali, oggi il valore nazionale totale di contratti derivati del mondo si è gonfiato a una sconcertante cifra di 710 trilioni di dollari ($710,000,000,000,000).
Quando la bolla immobiliare è scoppiata nel 2007, il valore nazionale totale di contratti derivati del mondo era a circa 500 trilioni di dollari, quindi è ora il 20% più grande di quanto era appena prima dell'ultima grande crisi finanziaria nel 2008.
Deutsche BanK (ad esempio in Germania) ha un’esposizione totale di derivati che ammonta a € 55 trilioni 5 volte superiore al PIL d'Europa e più o meno lo stesso PIL del... mondo.
Warren Buffett ha detto una volta che i derivati sono "armi finanziarie di distruzione di massa", e tale affermazione è più vera oggi che mai. Se una banca arrivasse al collasso tipo la banca americana JP Morgan il governo degli Stati Uniti e la Federal Reserve si precipiterebbero subito a salvarla. A causa di questa "coperta di sicurezza", le banche come JP Morgan non esitano a prendere rischi scandalosi. Oggi, JP Morgan ha più esposizione ai derivati di chiunque altro al mondo. Se vincono, ..vincono i grandi, se perdono perderanno i contribuenti. Ci sono cinque banche USA con più di 40 trilioni di dollari in esposizione di derivati una somma di denaro che è quasi inimmaginabile.
Per non parlare del debito pubblico degli Stati Uniti che il 28 novembre ha sfondato per la prima volta la barriera dei 18.000 miliardi di dollari, ma nessuno ne parla, arrivando per l’esattezza a 18.005,55 miliardi. Nessun commento da parte dei principali media statunitensi e mondiali. Qualcuno ha semplicemente riportato la cifra come se si trattasse di bruscolini e niente di più. Insomma per i media è tutto normale. Questo debito non spaventa più di tanto Washington perché è relativamente basso rispetto a quello di altri paesi, circa l'85% del PIL. Ma se al debito pubblico federale si vanno ad aggiungere i debiti del settore finanziario-business (anticipi di capitale sia per l'industria che per la speculazione), quello finanziario-sociale (mutui, assicurazioni, ecc.), quello degli stati federati e delle famiglie si raggiunge la bella cifra di 57.000 miliardi di dollari.
Nei 2.138 giorni di “Governo Obama” il debito pubblico degli USA è cresciuto di 7.378,67 miliardi, ad una media di 3,45 miliardi al giorno. Obama passerà alla storia come il peggior presidente USA di tutti i tempi, capace di produrre il 41% di tutto il debito pubblico USA.
Chi sono stati i peggiori presidenti, cioè quelli che hanno prodotto maggiori deficit?
I peggiori sei presidenti, quelli che hanno prodotti i maggiori deficit nella storia degli Stati Uniti: Bill Clinton e George H. W. Bush con oltre 2.000 miliardi di dollari attuali di deficit; Franklin D. Roosevelt e Ronald Reagan con oltre 3.000 miliardi a testa; quindi George W. Bush con un deficit superiore a 5.000 miliardi attuali.
Ecco su: http://www.economist.com/content/global_debt_clock l'orologio del debito globale,una panoramica interattiva del debito pubblico in tutto il pianeta.
Per l'Italia il  problema principale è il costo del debito, visto che in un anno spendiamo circa 85 miliardi per pagare interessi. Il costo del debito cresceva con tassi di interesse del 7% quando il nostro debito era circa il 120% del PIL e poi lo stesso costo è calato drasticamente pur in presenza di un grande aumento del debito che supera il 130 % del PIL. Cosa è successo alla fine del 2011 per far crollare i tassi di interesse che pagavamo sui BTP? Semplice nel dicembre del 2011 la BCE ha iniziato la manovra chiamata LTRO. In altre parole ha fornito alle Banche UE circa 3MLD di Euro di finanziamenti al 1% per far comprare alle banche i BTP italiani e spagnoli. Altro che austerità, altro che tagli e maggiori tasse. Il nostro<bilancio primario> dello stato è positivo da venti anni (i cittadini pagano tante tasse per i servizi che ricevono) sono gli interessi passivi bancari che i Governi  regalano alle banche che prosciugano ogni sacrificio dell’intera popolazione ed aumentano il debito pubblico. Non c'è alcuna correlazione tra l'aumento del debito e l'aumento del tasso di interesse. La correlazione è solo e soltanto con le manovre delle Banche Centrali. Allora il debito pubblico esiste perché i cittadini sono vissuti oltre le proprie possibilità ?  
<E’ arrivato il momento, per tutti, di capire le origini dei <debiti> ..e chi li dovrà pagare>, prima che diritti e Welfare scompaiano del tutto !
05 01 2015    Carmine Curcio

martedì 6 gennaio 2015

JOBS ACT: DECRETO OLTRE PEGGIORI ASPETTATIVE (COMUNICATO STAMPA da unisinbnl.it)


COMUNICATO STAMPA

JOBS ACT: DECRETO OLTRE PEGGIORI ASPETTATIVE

"Con il primo decreto sul nuovo regime dei licenziamenti il Governo va oltre le più pessimistiche previsioni - dichiara il Segretario Generale di UNISIN Emilio Contrasto - ampliandone il raggio di applicazione oltre ogni ragionevole aspettativa".
"Attenderemo che il testo definitivo sia pubblicato in Gazzetta Ufficiale per esprimere giudizi tecnici finali - spiega Contrasto - ma in merito al testo licenziato dal Consiglio dei Ministri della Vigilia di Natale - scelta discutibile in quanto richiama le peggiori tradizioni delle cattive leggi fatte quando l'attenzione degli italiani è concentrata su altro - possiamo affermare che è inaccettabile l'applicazione del nuovo regime, che esclude del tutto il reintegro nel caso di licenziamenti economici, ai casi di licenziamenti collettivi in
base alla Legge 223/91".
"La stessa esistenza di questa normativa, infatti - secondo Contrasto - contraddiceva le semplicistiche affermazioni circa la presunta rigidità del mercato del lavoro in Italia per la presenza dell'art. 18 e della difficoltà a licenziare, che sarebbe stata anche un freno agli investimenti, in quanto essa disciplina e rende possibili i licenziamenti collettivi per motivi economici".
"Il pensiero negativo della nostra Organizzazione sul Jobs Act, sull'aggiramento dell'art.18 e sulle varie altre misure contenute nella legge delega - dal demansionamento al controllo a distanza - è ben noto ed è stato negli scorsi mesi più volte espresso - ricorda il Segretario Generale di UNISIN - ma estendere la cancellazione del reintegro ai licenziamenti collettivi, oltre a superare e snaturare la stessa delega, rappresenta un abnorme regalo alle imprese ed un attacco al mondo del lavoro ed al Sindacato in quanto si consente di non rispettare le procedure ed i criteri per l'individuazione dei
lavoratori da licenziare, con la sola penale di un indennizzo economico ed escludendo il reintegro, e così di fatto si da via libera anche ai licenziamenti discriminatori".
"Il paradosso - secondo Contrasto - è che se per i licenziamenti discriminatori individuali resta il diritto al reintegro, saranno leciti i licenziamenti discriminatori collettivi.
Chiediamo al Governo ed alle competenti Commissioni Parlamentari di intervenire con le opportune correzioni al decreto prima della sua pubblicazione".
"Chiunque sia in buona fede - conclude il Segretario Generale di UNISIN - non potrà che concordare sul fatto che non sarà la libertà di licenziare ad attrarre investimenti e a far crescere l'occupazione finché non si combatterà con determinazione il “mondo di mezzo” fatto di malaffare, corruzione, complicità tra alcuni rappresentanti delle istituzioni e organizzazioni criminali, burocrazia ed incertezza del diritto".
Roma, 29 dicembre 2014

sabato 15 novembre 2014

Contratto bancari, aut aut ai sindacati: ridurre il costo del lavoro (da ilsole24ore)

Contratto bancari, aut aut ai sindacati: ridurre il costo del lavoro


Abi lancia l'aut aut ai sindacati. E il negoziato diventa un muro contro muro. Alessandro Profumo che guida la delegazione dei banchieri ieri all'incontro con Fabi, Fiba, Fisac, Uilca, Ugl credito, Sinfub e Dircredito per il rinnovo del contratto di lavoro è stato netto: la riduzione strutturale della dinamica del costo del lavoro e il rafforzamento del secondo livello rispetto a quello nazionale sono elementi imprescindibili. La premessa costituisce parte 
del negoziato che non può partire senza la sua accettazione da parte 
dei rappresentanti dei lavoratori. Solo «accettando questi principi si 
potrà discutere nel merito e nel dettaglio», fanno sapere da Palazzo 
Altieri. Il perdurare della peggiore crisi dal dopoguerra e la sempre 
maggiore divaricazione fra banche sia in termini di risultati sia di 
caratteristiche rende necessari questi due punti.
Già ieri in maniera pressoché unitaria 
i segretari generali di tutte le sigle al tavolo 
hanno detto che è approccio inaccettabile 
perché tutto ciò che viene deciso deve 
essere frutto di negoziato. I banchieri 
stanno chiedendo tra l'altro il congelamento strutturale degli scatti e una nuova base 
per il calcolo del Tfr, misure che creerebbero 
una forte disparità nel trattamento economico 
tra i nuovi assunti e chi è già dentro e 
una penalizzazione anche dal punto di vista pensionistico. C'è chi parla di un'incidenza tra il 15 e il 20%. Per i 
banchieri però «non si tratterebbe di una delega in bianco da firmare 
per i sindacati», spiegano fonti bancarie, ma solo «della presa di 
coscienza di una realtà oramai cambiata rispetto agli scorsi anni».

Ieri non c'è stata rottura, ma siamo molto vicini a questa condizione. Le parti hanno fissato in agenda un incontro a Milano per il 25 e, se non salta il tavolo, per il 26 novembre. Nel frattempo si consulteranno al proprio interno sui prossimi passi da fare. Abi terrà il comitato esecutivo il 19 novembre a Roma mentre i sindacati riuniranno i loro direttivi il 18 e il 19 novembre per chiedere mandato a trattare. In base a quanto emergerà nell'incontro del 25 verranno fatte delle scelte, non ultima, 
la mobilitazione.


http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2014-11-13/contratto-bancari-ora-e-muro-contro-muro-162927.shtml
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